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Sulla Pittura, Intervista con Alberto Sughi (Parte V)


 
Teatro d'Italia        
           
Parte I
         
Parte II
         
Parte III
         
         
Parte V
         
Parte VI
         
Parte VII
         

Biagio Maraldi Prima di un discorso sul quadro, credo sia indispensabile una premessa su come lavori. Quando cominci un quadro hai già la visione esatta, anche nei particolari, della raffigurazione a cui vuoi arrivare, o il quadro ti si fa via via inventando e modificando fino al punto in cui lo ritieni "finito"?

Alberto Sughi Spesso non bastano grandi idee e proponimenti per fare della buona pittura; al contrario, può succedere che ciò avvenga proprio attraverso progetti meno conclamati. Le idee sono generalmente importanti anche per un pittore, ma valgono soprattutto quelle che animano la sua fantasia visiva, che stimolano la sua creatività.

Dare inizio a un quadro è come muoversi verso una certa direzione; dipingere sarà invece inoltrarsi in un percorso, spesso accidentato, che può portare dove non si era pensato di arrivare.

Diversamente da come reputano molti critici, le modificazioni che un quadro subisce non sono da intendersi come "pentimenti" dell'artista; esse danno piuttosto la misura di un rapporto molto teso fra idea e immagine; all'interno di questa tensione si bruciano ipotesi e si rifanno progetti. Nel farsi dell'opera, infatti, riaffiora continuamente quella complessità e polivalenza di rapporti che ognuno di noi ha con se stesso e la realtà. Sono innamorato del mio lavoro proprio perché mi offre la possibilità di coinvolgermi quasi senza darmi respiro, e di prendere coscienza, attraverso l'esperienza figurativa, di qualcosa che non conoscevo.

BM In te sembra esservi una grande capacità narrativa, certamente più esplicita nei cicli pittorici della Cena e della Famiglia, in cui il racconto si sviluppa in più capitoli. Nel Teatro d’Italia raccogli in un'unica grande creazione il testo, abolisci i capitoli e ci dai un'opera unitaria anche se con situazioni e significati molteplici…… .

AS Narrare con la pittura, e naturalmente con le altre forme figurative, significa qualcosa di molto diverso rispetto al "narrare" che è proprio della letteratura. In pittura non c'è lo sviluppo di un'azione, non esiste un intreccio, non ci sono significati che si precisano attraverso argomentazioni e passaggi successivi. L'immagine che offre un dipinto ci appare nella sua dimensione totale e definitiva così come si mostrano le forme della realtà oggettiva: possiamo con uno sguardo contemplare un'opera d'arte plastica nella stessa maniera con cui, nella realtà, riconosciamo i lineamenti di un volto, cogliamo le linee di un paesaggio, leggiamo la bellezza di un tramonto.

Se l'arte figurativa può dunque, come nessun altro linguaggio dell'arte, assumere la consistenza del reale, non può tuttavia accedere a quella continua scansione concettuale ed espressiva che è propria della letteratura, la quale può registrare la temporalità dei fatti e lo sviluppo degli eventi riannodando la materia in un "continuum" cangiante, controverso e tuttavia contestuale.

Ritengo che il Teatro d’Italia sia on quadro poco "raccontato"; anche se, nello stesso tempo, può considerarsi un "racconto potenziale", profondamente ambiguo e dai significati ambivalenti. Il Teatro d’Italia presenta o, se si vuole, elenca i personaggi della nostra "commedia", non va oltre; ma attraverso la suggestione della forma consente di riflettere, ognuno come crede, sullo stato delle cose, sul nostro tempo e la nostra esistenza.

BM Un quadro quando è finito?

AS Un quadro è finito quando il rapporto dialettico si sta esaurendo, quando non c'è più spazio per ulteriori interventi; quando continuare a dipingerlo significherebbe solo un lavoro di rifinitura che tra l'altro, non di rado, riduce la forza dell'immagine.

Ritengo che il quadro sia concluso non quando si è raggiunto il punto che ti eri prefisso, ma quando arrivi al punto vero e proprio, l'ultimo e quindi unico: il momento del distacco.

Non è poi detto che sia fallito il viaggio che anziché in India approda in America! Picasso diceva che non è importante quello che si cerca, ma piuttosto o solo quello che si trova.

 

 BM Come "inventi" il tuo quadro quando metti una grande tela sul cavalletto?

AS Prendiamo come esempio proprio il Teatro d'Italia. Ero stato per lungo tempo in ospedale, avevo attraversato momenti diffìcili. In queste circostanze si è portati a riflettere, a farsi degli esami, a cercare in profondo il significato delle cose. Quando è finita la convalescenza, e sono tornato nello studio, avevo già preso l'impegno con me stesso di fare qualcosa che mi servisse, intanto, a chiarire dove ero e con chi ero.

Ho appoggiato sul muro quella grande tela e ho iniziato a disegnare le figure di due ballerini, un uomo e una donna, nell'atto di andarsi incontro a passo di danza. La tela, in effetti, è composta di due parti; nel centro della prima vi è la ballerina, mentre nell'altra si muove il ballerino.

Il quadro si è andato via via popolando di personaggi che sembrano ostacolare il procedere dei due giovani. Non è stata una scelta premeditata quella di mettere delle barriere .

Il quadro si andava infittendo di personaggi e situazioni che la fantasia, ma anche la memoria, sembravano suggerirmi. Ne è venuta fuori una rappresentazione dove le speranze e le paure, il potere e la solitudine, l'amore e il vuoto si intrecciano fino al punto di fare da trama alle stesse immagini.

Questi due ballerini, questi due giovani danzanti, vogliono, dunque, raffigurare la felicità, la gioia di vivere.

No, solo due giovani che si cercano nonostante una situazione fitta di ingombri minacciosi, piena di presenze, di ammonimenti, di luci inquietanti; tutte cose che vengono dalla nostra fantasia, dalla nostra storia, dalla nostra cultura, dalla nostra quotidianità.

Non voglio sottolineare, nel quadro, un possibile aspetto di fiducia o il suo contrario; non mi sono nemmeno mai domandato se quei due ragazzi che attraversano la scena finiranno per incontrarsi. Non ho fatto molto di più che un dipinto di grandi dimensioni; da cui, forse, risulterà difficile risalire all'idea dalla quale ero partito.

BM Mi pare che nella sostanza abbia già risposto alla domanda che ancora ti voglio fare: per il Teatro d'Italia, qual era l'originaria immagine complessiva della tua "invenzione"?

AS Esiste un rapporto complesso tra l 'immagine che prende forma nella tela e le intenzioni del pittore; non è mai soltanto un progetto quello che si va a realizzare. Nell' elaborazione dell'immagine ci si distacca, alle volte, proprio da quella "invenzione" di cui parlavi. Seguire lo "sviluppo" del quadro significa, per me, prendere coscienza di problemi che non avevo previsto, e che si sono proposti nel farsi dell'opera. Non dipingo ciò che sapevo, ma ciò che apprendo attraverso l'atto del dipingere.

Per riassumere, il Teatro d’Italia nasce da un'idea meditata in un ospedale: pensavo di misurare, attraverso il mio, il passo del comune cammino, il carattere della nostra esistenza.

Non riuscivo, con altri mezzi, a darmi risposte esaurienti: dovevo rivolgermi alla pittura.

Forse, dove il pensiero sembrava confondersi l'immaginazione pittorica avrebbe potuto chiarirmi il rapporto con la realtà.



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