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Sulla Pittura, Intervista con Alberto Sughi (Parte IV)


 
Teatro d'Italia        
           
Parte I
         
Parte II
         
Parte III
         
Parte IV
         
Parte V
         
Parte VI
         
Parte VII
         

Biagio Maraldi Le mostre antologiche più recenti della tua produzione artistica sono state ordinate per cicli pittorici; può essere una soluzione idonea a delineare la tua attività e la scelta di stile e dei contenuti della tua pittura negli anni

Non credi, tuttavia, che con questa classificazione restino esclusi, per lo meno in ombra, momenti significativi della tua attività artistica?

 

Alberto Sughi Si, ho anch'io il sospetto che una rigida classificazione per cicli abbia finito per chiudere dentro gabbie tra loro non comunicanti i capitoli di una ricerca unitaria.

Questo metodo è stato seguito nel catalogo e nell'allestimento della mostra Il Gioco dell'Apparenza, a Castel sant'Angelo del 1986

In effetti la divisione per cicli è forse dovuta alla rilevanza che sono venute acquistando alcune digressioni nel contesto del mio lavoro.

La prima, di cui resta documentazione solo in qualche catalogo, le opere sono ormai chissà dove, portava il titolo Nascita e morte di una vocazione. Era il tentativo di "allestire" una metafora attraverso dieci quadri proposti come una sequenza cinematografica. Il ciclo fu esposto alla "Barcaccia" di Montecatini nel 1969.


La seconda venne condotta più sul linguaggio, sullo stile. E questa operazione diede carattere di compattezza a une sequenza di opere del 1976 che ha per titolo La Cena. È la ricerca che maggiormente si allontana dal mio modo più naturale di dipingere; che cerca intenzionalmente di cancellare i miei stessi segni.

Il terzo ciclo va visto nel gruppo di quadri, del 1981, riuniti sotto il titolo di Immaginazione e memoria della famiglia. È l'unico esempio, nel mio lavoro, in cui adopero i modi di un racconto circostanziato: una specie di ricostruzione psicologica e antropologica di eventi recuperati dalla memoria.

 

BM Mi sembra che possiamo anche riferirci ai quadri che vanno sotto i titoli di L'ora storica e La classe dirigente del 1964-65, che servono anche a meglio intendere la tua posizione nei confronti della società nei suoi uomini di potere, nei dirigenti.….. Mi pare che questo riferimento sia obbligatorio per introdurre il discorso sul Teatro d'Italia.

 

AS Si, di questo ne riparleremo, ma per completare il discorso vorrei ricordare la mostra antologica al Palazzo dei Diamanti di Ferrara nell'aprile 1988 dove si è seguito un criterio più strettamente cronologico

Penso che questo metodo recuperi il mio percorso in maniera più appropriata rispetto alle forzature che si possono riscontrare in una rigida divisione per cicli.

C'è chi propende a individuare nel mio lavoro due linee di tendenza, se non proprio una divaricazione tematica: l'una più attenta alla condizione esistenziale, più raccolta su una problematica individuale; l'altra più rivolta all'esterno, più legata al "sociale" e quindi più intrisa di polemica anche politica.

Mi sembra che la mostra di Ferrara, più che sottolineare le differenze, abbia messo in risalto la connessione tra questi aspetti della mia ricerca. Attraverso Le strisce pedonali del 1958 alla Scalinata sul Lungotevere del 1959, dalla Classe dirigente del 1965 ai Giochi nel giardino del 1972, fino al Teatro d’Italia del 1984 si può ricostruire il percorso compiuto per catturare dentro angoli bui o sotto la la luce dei riflettori, un'immagine della nostra identità.

 

BM Poiché penso che intercorra sempre un rapporto tra titolo e opera, chiedo: perché Teatro d'Italia?

AS Spesso il titolo finisce per diventare una componente importante dell'opera tanto che è difficile immaginarla senza quella indicazione.

Nel caso specifico del Teatro d'Italia, il quadro fa parte di una mia costante attenzione alla "commedia" in cui siamo immersi come attori e come spettatori; è la terza volta, infatti, che opere da me ritenute esemplari, hanno titoli con lo stesso collegamento: Rappresentare l'Italia (1958), Giardino d'Italia (1971), e infine questo Teatro d’Italia (1984).

Adesso sto pensando a un quadro di grandi dimensioni di cui per ora ho poco più del titolo: Piano Bar Italia.

Può darsi che, pur nascosto tra le pieghe dell'amarezza, dell'ansia, e perfino dell'ironia, questo riferimento possa testimoniare di un amore profondo verso il mio Paese.

Può anche significare il desiderio del pittore di raccordarsi con una situazione più generale.

 


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