1 Settembre 2012
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Alberto Sughi, Scritti (1954 - 2012) e' una ricca raccolta di testi, incluse lettere autografe, pagine di diario, estratti di interviste, e saggi critici, attraverso il quale si delinea e precisa il pensiero di Alberto Sughi.
La raccolta comprendente tanto testi inediti quanto testi gia' pubblicati, e' la prima d'una serie di pubblicazioni, monografie e cataloghi ragionati dell'Associazione Culturale Archivio Sughi.
La pubblicazione di Alberto Sughi, Scritti (1954 - 2012) e' prevista per la prima parte del 2013, presso Electa Editore.
Quelli che seguono qui sotto sono tre estratti parte della presente raccolta.


Il Caffè del Crocevia (1998)
email al figlio Mario, Roma, 24-1998

Caro Mario, il quadro che sembrava non avere mai fine ha lasciato il mio studio; sono venuti a prenderlo ieri mattina per la mostra di Bologna.
Adesso sarà in un magazzino buio, ammucchiato insieme ad altri quadri dove la sua presenza non avrà altro significato di quello suo ingombro.
Fino a che era nel mio studio sembrava lo specchio magico e misterioso in cui sarebbe potuto apparire quello che non sappiamo , quello che ancora non conosciamo.
Avrei preferito che fosse rimasto ancora qualche giorno; non avevo ancora finito di fargli tutte le domande a cui la pittura può dare risposta.
Come avrai notato nei giorni che sei stato a Roma , il quadro diventa per il pittore l’ interlocutore che risponde senza blandire ,senza ipocrisia .
Io non capivo subito quello che voleva suggerirmi o, addirittura, ne confondevo il significato.
E allora era necessario uno sguardo più lungo per capire che quello che pareva un assenso era invece l’indicazione di un errore.
Il quadro, alla fine, mi ha obbligato a tenermi dentro la mia strada dove al fondo si intravede sempre, più o meno sfocata, la mia storia.
Ho sempre avuto il sospetto che anche il viaggio più lungo alla fine ci faccia incontrare solo con noi stessi. dipingere consiste nel compiere un viaggio pensando di arrivare chissà dove; ma poi capisci non c’era una meta da raggiungere alla fine del percorso;c’era solo il viaggio che hai fatto dentro il tuo quadro. Questo é quello che offre la pittura.
Il viaggio si é interrotto una mattina quando avvolto in un telo di plastica, é stato caricato in un furgone che l’ha portato via.
Buon lavoro Mario il tuo babbo.

La Fotografia (1986)
in “Alberto Sughi” Giorgio Mondadori Editore, 1986

Viviamo nel tempo in cui la fotografia, con la sua enorme possibilità di riproduzione meccanica o telematica, è diventata uno dei principali veicoli (se non il principale) di comunicazione e di informazione.
I giornali, la televisione e i computer sfornano quotidianamente messaggi fotografici di ogni tipo. Tutto questo ingenera l’illusione di essere dentro le cose non solo per quello che se ne sa, ma anche per quello che se ne vede. I due momenti del vedere e del sapere diventano così strettamente connessi che se ne potrebbe trarre un falso sillogismo: vedere è sapere. Questo indebolimento della conoscenza critica è uno degli elementi che l’enorme e incontrollata diffusione dell’immagine fotografica ha prodotto.
Può essere vero che un’invasione di queste proporzioni abbia, per qualche verso, segnato anche chi da questo fiume in piena voleva e vuole salvarsi. C’è chi, ad esempio, scegliendo di fare il pittore figurativo si nutre soprattutto del lavoro dei grandi maestri per allenare la sua memoria visiva, per capire il significato profondo e misterioso della luce e della forma in pittura. Non voglio fare la parte del purista perché non mi sta bene; alle volte la contaminazione può essere un momento altamente creativo. Però mi dispiacerebbe che si vedesse fotografia dove c’è solo pittura.

Presentazione in catalogo alla mostra di Ottone Rosai (1967)
(Cesena, Galleria Il Portico, 1967)

Un giorno del 1943 ci capitò fra le mani una piccola monografia della Hoepli: Ottone Rosai. lo e Cappelli andavamo a caccia di libri d'arte e cataloghi di mostre; ogni nuova scoperta faceva nascere calorose discussioni. Si cercava, attraverso le piccole illustrazioni in bianco e nero, di aprirsi un sentiero in quella prima esplorazione dell'arte contemporanea.
Prendevamo tutto minuziosamente in esame e la fresca passione ci portava a fare un tifo vero e proprio per i nostri pittori.
Era il tempo in cui ci si esaltava per quello che i giornali raccontavano dei corridori ciclisti, o per i piloti della Mille miglia che, una notte di Maggio, aspettavamo sui bordi della strada con un foglio e una matita in mano per cronometrare i passaggi. Ricordo sempre la suggestione di certi nomi: Varzi, Biondetti, Nuvolari, Pintacuda... Allo stesso modo ci suonavano dentro quelli dei pittori; semmai pieni di un fascino più magico, di un mistero più grande. Carrà, Morandi, Sironi sembravano nomi scolpiti nel sasso.
Avevamo appena gettato, impacciati, le prime occhiate sul lavoro degli artisti moderni che già ne eravamo conquistati. Quel piccolo libro ci sconvolse; quella trentina di illustrazioni accelerarono il battito del nostro cuore come se d'improvviso le cose che ci stavano attorno si componessero tanto da sembrare quadri di Rosai, come se gli uomini incontrati per strada o seduti dentro le osterie di Porta Santi fossero i personaggi di Rosai. I nostri disegni diventarono subito Rosaiani.
Mi sono chiesto, a distanza di anni, il significato di quella adesione spontanea e irresistibile. Come poteva accadere che quelle immagini, quelle inconfondibili figurazioni, apparissero tanto suggestive a due ragazzi che iniziavano allora il difficile cammino di pittori in Romagna, in quella Cesena che aveva in Baggioli, Malmerendi e Severi la sua rappresentanza artistica?
E' vero che noi eravamo già allora "dissidenti"; che la nostra curiosità ci aveva portato a guardare altrove; ma è un fatto che il maestro moderno più formativo della nostra prima giovinezza sia stato proprio Ottone Rosai, come subito dopo sarà Lorenzo Viani che, per la verità, leggevamo quasi nella stessa chiave. (Credo, a questo proposito, che tornerebbe ancora utile un discorso comparativo sui due Maestri toscani). Le ragioni c'erano e abbastanza evidenti. E' di quella razza di artisti Rosai in cui l'interesse per il mondo, per l'uomo e la sua condizione, prepotente dal suo mondo pittorico.
Della sua pittura non è sufficiente ammirare il magistero formale però questo è usato per raccontare, per confessare, per sperare o soffrire.


1 Settembre 2012

 
 
 
 
 
 
    
    

 

 

 

 

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