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Vincenzo Trione, Alberto Sughi la Terza Via tra Astratto e Realismo La scomparsa del pittore solitario per vocazione che ritraeva i vinti
Il Corriere della Sera, Milano, 1 Aprile 2012, p. 33 |
Per ricordare Alberto Sughi —morto ieri all'età di ottantatré anni — potremmo richiamarci a una sua confessione privata, che ha anche il valore di una dichiarazione di poetica: «Ho scelto di correre da solo». Ecco chi è stato Sughi: un isolato. Per necessità, con ostinazione.
Nato a Cesena, formatosi nella Torino del dopoguerra, maturato nella Roma del neorealismo. Da subito, egli decide di non aderire all'avanguardia. Non si riconosce nelle decostruzioni cubiste e nelle evocazioni astrattiste. Ma non si adegua neanche alle opzioni ideologiche di Guttuso e Vespignani. Sin dagli esordi, è affascinato dal bisogno di trovare una terza strada. L'arte, per lui, non è esercizio autoreferenziale, e non è neppure strategia per trasmettere contenuti politici. Ma è pratica morale. Racconto di mondi silenti. Testimonianza appassionata di chi vive ai margini. Adesione alla cronaca, colta soprattutto nella sua drammaticità. Dense di richiami a Goya e a Courbet, a Daumier e a Bacon, a Hopper e a Freud, le sue opere sembrano comporre i capitoli di un romanzo esistenzialista. Si offrono come narrazioni struggenti, specchio di un disarmato verismo, non privo di abbandoni espressionisti. Ci consegnano scorci quotidiani, volti afflitti.
Se proviamo ad accostare i cicli di Alberto Sughi, abbiamo la sensazione di trovarci di fronte ai fotogrammi di un film girato da De Sica, Rossellini o Pasolini. In sequenza, ritratti di vinti, che racchiudono un'umanità disperata. Gesti e situazioni comuni. Talvolta, momenti definitivi (in uno dei suoi quadri più intensi, «La morte del padre»). Protagonista assoluto, l'individuo. Per metterne in scena afflizioni e tormenti, Sughi elabora una sintassi «umida, organica», che, come ricordò Leonardo Sinisgalli, rivela molte assonanze con quella di Moravia: «malconcia, frettolosa, volutamente sciatta», distante da ogni immediata piacevolezza, sorretta da una «attrazione morbosa per la parte scaduta dell'uomo».
Che significa essere realisti? Non limitarsi a documentare, amava rispondere Sughi. Ma «dare un contributo a capire la realtà di oggi».
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6 Aprile 2012 |
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