03 October 2008
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                      Alberto Sughi, foto Gianmaria Zanotti
Domenica 5 Ottobre Alberto Sughi compiera' Ottant'anni.
www.albertosughi.com pubblica qui di seguito in anteprima il testo dell'intervista di Luigi Vaccari "Alberto Sughi compie 80 anni" che comparira' domenica sul Messaggero.

Alberto Sughi compie 80 anni

di LUIGI VACCARI

 “La vecchiaia non è brutta come oggi s'immagina, e poi passa come le altre stagioni della vita. Tutto ciò che è nell'ordine delle cose non è né brutto né bello: è così e basta. Delle altre stagioni ci rimangono i rimpianti; la vecchiaia, quando se ne sarà andata, ci risparmierà ogni malinconia”.

Il 6 ottobre Alberto Sughi, romagnolo di Cesena, ma vive a Roma, pittore del realismo esistenziale, compie 80 anni. L'ultimo numero del bimestrale Diogene , filosofare oggi ha scelto i suoi dipinti per commentare una sezione dedicata a Jean-Paul Sartre, perché “ha rappresentato le vicende storiche e umane” della generazione del filosofo e scrittore francese “con uno sguardo altrettanto attento e profondo”. Nelle sue opere “possiamo cogliere lo sforzo d'indagare senza abbellimenti la realtà dei fatti, le miserie morali, la tristezza e la solitudine che caratterizzano l'uomo contemporaneo”.

La sua ricerca, cominciata in giovanissima età, “ho fatto i primi disegni a sette anni, incoraggiato da mia madre, scoraggiato da mio padre”, è andata avanti per cicli tematici: Pitture verdi , La cena , Immaginazione e memoria della famiglia , La sera o della riflessione , Notturno . I suoi quadri, oltre un migliaio, sono stati esposti in tutte le più significative rassegne d'Arte contemporanea, alla Biennale internazionale di Venezia, alla Quadriennale di Roma, di cui negli Anni Novanta è stato presidente. E molti musei italiani e stranieri gli hanno dedicato ampie antologiche.

Chiacchieriamo nel suo studio, sempre rigorosamente ordinato, ma di solito pieno di quadri, accatastati uno sull'altro. Oggi ce n'è uno soltanto, molto grande, su una parete della stanza in cui lavora, Personaggi al bar del 1960; “li ho dati tutti al mio gallerista; forse, non avrei dovuto”, mi dice con voce dubbiosa. Anche i tavoli sono sgombri. Sulla scrivania, alcuni libri: La peste e Lo straniero di Albert Camus, Diario degli errori di Ennio Flaiano, La nausea di Sartre…: “Le mie riletture di questo periodo”.

I lettori perdoneranno il tono confidenziale della conversazione: c'è, fra noi, una lunga e solida consuetudine. Il distacco mi parrebbe una finzione e un inganno.

Che cosa hai chiesto alla pittura? Di fare luce su un possibile percorso?

“Forse c'è stato uno scambio fra il mestiere e la vita. Non ho fatto altro che seguire una specie di vocazione che mi ha fatto scegliere questo lavoro, difficile e affascinante. La pittura è diventata per me lo strumento decisivo per conoscermi e conoscere il mondo. Non mi sento di aggiungere altro.

Quando hai cominciato guardavi a qualcuno?

“Naturalmente. Sono i modi per alimentare la vocazione, il proprio cammino. Via via c'è stata una tale sedimentazione che faccio fatica a distinguere uno dall'altro. Da bambino, certo, Masaccio. E dopo alcuni moderni: Viani, Rosai, Sironi hanno animato la mia curiosità. Poi, di pittura ne conosci tanta e tutta fa parte della tua necessità di crescere. Quando dipingo mi sembra di parlare con gli artisti che sono venuti prima di me, come se fossero amici che stanno nel mio studio. Forse ne prendo una parte, forse li tradisco...”.

Chi è il primo critico che ti ha riconosciuto, confermandoti la bontà della scelta?

“Non penso che, per avere conferma del proprio lavoro, sia sempre necessario un critico. Ancora oggi quando, su qualche giornale, appare una recensione su una mia mostra, guardo il titolo, la lunghezza dell'articolo, la firma di chi lo ha scritto. Non sempre leggo tutto il testo. Tutti hanno piacere di che si manifesti interesse per il proprio lavoro. Ma bisogna sopratutto tenersi stretti a se stessi e alla propria immaginazione. Apprezzo il lavoro della critica d'arte , tuttavia preferisco tenere separato il mio lavoro da quello che scrivono quando parlano dei mie quadri : correrei il rischio di essere influenzato dal loro gusto e anche dai loro vizi “.

E' stato così anche all'inizio?

“Anche all'inizio. Ho avuto amici molto importati: Longhi, Valsecchi, Del Guercio, Venturoli, che hanno amato la mia pittura. Ma non direi che un critico ha dato una svolta al mio lavoro”.

Un pittore deve raccontare o testimoniare?

“Non c'è un pittore: ci sono tanti pittori. Ognuno ha un modo di pensare diverso. E porta un contributo particolare, di ciò che è, che ha ricevuto e che ha dato alla vita, raccontando sé stesso. Io quando parlo di me racconto quello che ho dipinto. E se dovessi raccontare quello che ho dipinto, e cerco di non farlo, per non aggiungere inutili parole a quello che ho detto con la pittura, parlerei della mia vita. Ne ho avuto una parallela che, per qualche verso, ha surrogato la mia esistenza fino a prenderne la centralità: il mestiere di pittore. La pittura, a sua volta, si è nutrita della mia vita e dei miei pensieri. Forse, in questa specie di scambio, sono stato risarcito, ma ho pagato un prezzo . D'altra parte è questa la regola per la pratica dell'arte”.

Il prezzo è stato la tua croce?

“Non so se stia portando una mia croce: ho conosciuto il dolore, la malattia, la sofferenza, il malessere della sfiducia, ma li considero percorsi inevitabili. Bisogna trovare dentro di noi il Cireneo che ti aiuti a superarli… Ma ti dirò: ho considerato la vita come un regalo, anche nei momenti difficili. E ho cercato di privilegiare sempre la speranza allo sconforto. Senza la speranza di raggiungerla, nessuno si metterebbe in viaggio per una qualsiasi impresa: grande o piccola che sia… Essere curiosi, mettersi in viaggio con le valigie dei nostri pensieri : è questo il nostro esaltante e disperato destino”.

Sei stato felice, qualche volta?

“Non posso correre l'azzardo di considerare la mia una vita felice, anche perché non riesco a comprendere bene il significato di questa parola. Ma certamente è stata una vita bella, dato che mi ha offerto la possibilità di conoscere, amare, dipingere”.

La malattia cambia il rapporto con la vita?

“ Ho avute malattie anche gravi, ma non lo hanno cambiato. Ho avuto semmai l'occasione di capire presto quanto sia fragile e provvisoria la nostra esistenza in questo mondo; ma questo non ha cambiato e non cambierà la mia vita”.

Che cosa ti proponi oggi? Di aggiungere? O vorresti sottrarre? Avverti un certo distacco? Ti mancano le energie?...

“ L'energia naturalmente si indebolisce ; quello che facevo da giovane, la velocità nel realizzare le cose anche. Rimangono uguali , per fortuna, , l'identità: il modo di guardare, gli strumenti per conoscere del tutto indipendenti dal tempo che hai davanti. La velocità dell'intuizione lascia il posto a una riflessione più approfondita. E resta lo stesso il sentimento del dovere verso gli altri e me stesso. “.

Hai degli allievi?

“Sai: penso che faranno cose diverse da quelle che ho fatto io. E saranno belle, vicine a un mondo nuovo che verrà rispetto al mio, che poi è stato il Novecento. Non vedo come la mia pittura possa proseguire con altra mano, dato che tutto sta cambiando in maniera tanto veloce... E' importante lasciare una testimonianza del proprio lavoro , il mio, quello di un ingegnere, di un operaio, di uno scienziato, di uno scrittore, che consenta di ricostruire, per chi verrà dopo di noi, la storia dell'epoca che abbiamo vissuto”.

Per quali delle tue tele, fra il migliaio e passa che hai dipinto, e che sono consegnate alla storia dell'Arte, vorresti essere ricordato, in particolare? Ne butto là una: “La morte del padre”?

La morte del padre è un quadro che amo molto. Ma vorrei lasciare, a chi avrà l'occasione di guardare i miei quadri, la libertà di tradurli nei propri pensieri e di custodire ciò che gli potrà servire per capire il senso della vita”.
 

03 October 2008

 
 
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