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Leonardo Sinisgalli , Alberto Sughi: Tempo di Eclisse

 

A. Sughi, uomini assaliti dai cani

Alberto Sughi Uomini assaliti dai cani (ii), Olio su tela, 150x100cm, 1967

Se si mettono in fila i titoli delle opere di Sughi e quelli, poniamo, di Klee o di Kandinsky, si fa presto a capire che siamo sulla Via Emilia, non certo sulla Via Lattea o suila Transiberiana. Diceva pochi giorni addietro Emanuelli che, oggi, o si scrive co me Beckett o come Renato Fucini. E in pittura: o si fa la macchia o si fa la figura, o si fa la losanga o si fa lo scarabocchio, o il manifesto o l'icona, o il racconto o l'arabesco, o s'incolla o si cuce, ecc. La pittura è stata pi ù coraggiosa della letteratura. Ma riprendiamo l'inventario di Sughi: tavola calda, uomo che dorme, uomo che si toglie il cappotto, uomo sul letto, gli amanti, donna in camera, donna in chiesa, giocatori di flipper, bar notturno, uomo al bar, tempo di twist, persone al caffè , moglie e marito, uomo che ride, nudo, nudino, donna che si spoglia, donna che esce dal bagno, donna che si volta, uomo che si annoda la cravatta, uomo che infila il soprabito, donna allo specchio, uomo col cane, ecc. ecc. Il realismo di Sughi tende alle ore in certe, ai gesti incerti, ai sentimenti incerti o vegeta tra crepu scolo e ore piccole, tra rifiuto e deriva, tra la noia e la rassegna zione. Non è populista n é evangelico. Non è vendicativo. Sughi indica, accenna non denuncia. Raccoglie, punge, dissecca, come un entomologo. Ha il cuore secco, non ha il cuore duro: come diceva Cocteau di Radiguet. La sua realt à è una realt à cadaveri ca. I suoi personaggi non vivono, si spengono nei suoi quadri. Sughi risuscita per un istante delle sembianze defunte, sem bianze stinte, sfocate. Non tira all'idillio, alla rimembranza, ma piuttosto all'epigrafe. Se si riflette ancora, meglio si scopre che Sughi non fa spettacolo — palco, gogna, pulpito, altare, ring, cir co — come fa Bacon, ma piuttosto musica, musichetta, disco. Bacon continua a modo suo a leggere Shakespeare, Sughi legge la cronaca, la cronachetta, la cronaca rosa e nera, il racconto della domenica. Leggerebbe il romanzo d'appendice se i gior nali avessero in appendice i romanzi di Mastriani o di Carolina Invernizio. Anche Proust confessa di trovare pi ù ispirazione nel l'elenco dei telefoni che nelle pagine dei « Pensieri » di Pascal. Rifiuta il plein-air, l'ossigeno, la luce, le delizie del creato; pre ferisce gli interni fumosi, quasi sordidi, la luce delle lampade alla luce del sole. Sembra materia filmica, è vero, sembrano pel licole lustre più che ruvide tele o tavole opache gli schermi su cui il colore scivola come anilina. Come se egli possedesse il segreto dei viraggi che esaltano le aree chiare e rabbuiano gli sfondi. Sui corpi, sui volti le gocce di calore si frangono, la for ma si scioglie, si liquefa. La forma si svapora, non si addensa, non si concentra. Sughi è portato a smaterializzare. Nelle ultime prove, dove la scena si allarga e le figure si moltiplicano (ragazzi che giocano nelle fosse, uomo e gatti sul tavolo, uomo e cani sulle dune) salta agli occhi una mitologia da arazzo, da parete, da soffitto barocco. L'istinto di dissoluzione sembra pro metterci chi sa quali artifici, l'istantanea sembra sciogliersi in ritmo. Ma non precipitiamo. Non trasformiamo l'eccessiva di sponibilit à in indifferenza. Sughi non riesce ad essere obbietti- vo, rimane ancora partecipe. E' una partecipazione sentimenta le, fluida. La sua immagine, anche negli esempi pi ù sconcertanti, non si rassoda. Nei casi pi ù impressionanti, dove un poco si rasenta il sadismo, dove la coscienza si confonde, si oscura, possiamo anche sentirlo vicino a un De Pisis, a un Rosai e indo vinare insieme frenesia e piet à , eros e solitudine. Raimondi mi pare ha parlato di diario, e qualcuno anche di referto. Qualcuno ha sentito il fischio compiaciuto del serpe maledetto. Resister à Sughi alla tentazione di strappare il lenzuolo della pudicizia, del la carit à ? La poesia lo ha salvato finora dalla squallida servit ù del sesso. Le sue alcove miserande, sinistre, non celebrano la volutt à e nemmeno il vizio. Non c' è abbiezione se pure non c' è speranza: tanfo di caffè , di cicche, lacrime, orina, sillabe, risa mozze. Sughi sarebbe il poeta delle esistenze incerte, delle ani me perdute? Anime spente che resuscitano nelle manie, nelle abitudini, nella routine fisiologica. E' incredibile quanto il mondo sia lontano da questo cosmo delle intimità . Il personaggio vive anche in mezzo a una scena posticcia: come in un tempo di eclisse. Come se non ci fosse mai stata la confianza. Personaggi equivoci che mimano dentro spazi incongrui. Sughi si sforza di cancellare ogni segno di identificazione. Sembrano sorpresi di essere presi di mira. L'uomo che abbraccia il cane e tutta l'intera sequenza delle varianti sono ancora le invenzioni pi ù marcate di Sughi. Dove la sua tavolozza è pi ù seducente e pi ù indigesta. Sughi è di quegli artisti — come Moravia tra i nostri scrittori — a cui si vorrebbe aderire intrinsecamente, ma con i quali si riesce appena a stabilire rapporti di stima, forse anche di ammirazione: tanto è asciutto meccanico Moravia, tan to è umido e organico Sughi. Ma c' è in entrambi un rifiuto netto della piacevolezza e una tendenza, una vocazione morbosa per la parte scaduta dell'uomo. La prosa di Moravia è malconcia, frettolosa, valutamente sciatta e tale mi sembra anche la pit tura di Sughi. Che al contrario di Moravia, nemico dello stile, nemico della retorica, è invece piuttosto nostalgico di una certa classicità , si chiami Toma o si chiami Degas, che sono i nomi suggeriti da Raimondi. Il fraterno sodalizio Raimondi-Sughi mi fa pensare alla profonda intesa Baudelaire-Daumier, e ai loro colloqui a picco sulla Senna, sul quai de Bèthune nell'isola di San Luigi. L'occhio acuto, la mente lucida di Raimondi hanno indicato a tutti noi il modo giusto di porci davanti all'opera di Sughi « i cui dipinti ci fanno segno e ci attraggono, ci parlano con voce, prima un poco ansiosa, poi quieta: 'Prova a guardarmi, ad ascoltarmi, ho da dirti una cosa » .

LEONARDO SINISGALLI

 

in L. Sinisgalli, Alberto Sughi, in Istituto Romano di Arte e Cultura, Roma, 1970

 

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