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Carlo Bernari : Ritratto ad inchiostro di Alberto Sughi

 

Alberto Sughi

Alberto Sughi nello suo studio nella Rocca Malatesiana di Cesena, 1964 (Foto Ugo Mulas)

 

Mi domando se è giusto che sia proprio io a fargli un ritratto oggi, vent'anni dopo, da quando lui fece il mio, ma servendosi di materiali più idonei che non le parole, per raggiungere una somiglianza accettabile. Quando una ventina d'anni fa, approfittando di una mia sosta a Cesena, la sua città natale, dove si era rifugiato — dopo un periodo di scapigliatura romana in quel gruppo di giovani artisti fra i quali, oltre a lui, primeggiavano Vespignani e Muccini — si propose di farmi un ritratto, il mio interesse per il pittore non ancora si allungava dalla sua arte all'uomo. Le tristezze che egli addensava nelle sue tele, tali che il personaggio umano vi appariva prigioniero di un fato incombente, come chiuso in un carcere senza scampo e dove l'oggettualità quotidiana si trasformava in una minaccia permanente per la sua esistenza, stentavano ancora a trovare in me una chiave d'interpretazione razionale di quei frementi legami fra la concezione di vita e la concezione dell'arte perseguita dal pittore.

Pur approvando quella visione critica e perciò negativa del mondo che Sughi portava in superficie nella sua pittura, stentavo a raccordare quelle immagini di desola zione e di sconfitta con le naturali inclinazioni dell'uomo che le concepiva. Ora che quel ritratto domina una parete del mio studio posso riandare con la mente ai pomeriggi di Cesena quando Sughi mi ritraeva. Vi sono raffigurato come la rettorica della ritrattistica impone, cioè senza allusioni metafisiche, ma con evidenti riferimenti al mestiere che svolgo: vale a dire seduto e con un giornale dispiegato sul le ginocchia. Che però non leggo: il mio sguardo non raggiunge neppure il pittore che mi sta davanti intento a ritrarmi: ma fugge nello spazio alle sue spalle, oltre la finestrella della Rocca Malatestiana dove Sughi da qualche tempo aveva sistemato il suo studio, e scivola via per i tetti che da quell'eremo della Rocca vanno a formare in basso la città di Cesena.

A mano a mano che quei vetri si oscuravano con l'avanzare della sera, lo studio del pittore si andava popolando di visitatori: gente di qualità e gente comune, artisti e perdigiorno, giovani che attende vano la parola consolatrice del maestro, e giornalisti, librai e scrittori... Da quei momenti il mio ritratto volgeva la faccia contro il muro e le antiche pareti comincia vano a risuonare di voci contrastanti sui più svariati argomenti — in quel periodo credo di ricordare che Sughi fosse stato eletto consigliere al Comune — ciascuna di fendendo una propria ragione, una particolare visione della vita: e ne nascevano discussioni vivaci ed aperte che spesso terminavano attorno a un tavolo d'osteria.Talora, tra le pieghe di quelle conversazioni Sughi si affannava a persuadere questo o quel visitato re ad acquistare un dipinto, non certo suo, ma di un giovane promettente che da qualche tempo frequentava il suo studio per apprendere il mestiere, ma che già rivelava il suo valore. E di un altro spiegava: «Pensate che ruba le lenzuola dal letto della madre per dipingere, ripromettendosi poi di rimpiazzare la biancheria sottratta quando avrà fatto un po' di soldi con la pittura».

In tutte quelle storie che s'intrecciavano nel suo studio, nelle quali il contado romagnolo o la borghesia
imprenditoriale della sua regione, che già guadagnava terreno nella rincorsa al benessere del dopoguerra, e
così qualche professionista emergente, ciascuno cercava di aggiungere qualche tratto di dignità culturale al suo
status sociale, Sughi chiaramente trovava il segno di una sua progettualità: nella selva di quella piccola borghesia, contadina o mercantile, fra quei professionisti, fra quegli amministratori e quei politici Sughi rintracciava non l'acquirente del suo prossimo dipinto, ma il modulo narrativo in cui li avrebbe sistemati pittoricamente. Quando li salutava con deferenza, oppure con affabilità, già dall'ironia appena percettibile che accompagnava quei commiati, potevi intuire che quelle conoscenze, petulanti o amabili che fossero, sarebbero prima o poi divenute personaggi a popolare le sue grandi tele.

Ecco da dove provengono quel le figure che sembrano provenire da un limbo di sogno e che di sognato non presentano altra caratteristica che quella del loro incontro negli stessi spazi e che col solo loro accostamento il dipinto acqui sta una sua palpitante verità. Certo una suggestione politica deve aver le richiamate in quella recita. Ma anche una suggestione di ordine narrativo deve aver avuto il suo in flusso nella sistemazione di quelle figure in cicli, narrativi appunto, che il pittore intitolerà monograficamente: La città, La cena, La famiglia, II Teatro d'Italia, in ognuno dei quali cicli è trasparente l'ispirazione narrativa che li ha gene rati, filtrati però attraverso una cultura figurativa non comune. Perché Sughi sa tenersi al riparo da certe aberrazioni moderniste, egli sa che «gli antichi rappresentavano l'esistenza» e noi moderni «rappresentiamo l'effetto», essi «descrivevano il terribile e noi terribilmente»; essi «il piacevole e noi piacevolmente. Di qui tutta l'esagerazione, il manierato, l'affettazione, l'ampollosità: perché quando si ricerca l'effetto e si scrive (o si dipinge, fa lo stesso) per l'effetto, non si crede mai di averlo reso abbastanza sensibile». Così scriveva Goethe allo Herder in una lettera dall'Italia. Questa la misura di cui si è avvalso Sughi nella sua arte, e che ha coerentemente osservato nella vita: egli ha saputo trasformare in veri e propri sodalizi culturali, durati decenni, amicizie con uomini provenienti da altre diverse discipline. Fra le tante amicizie che lo hanno sostenuto e accompagnato nella sua crescita artistica si può incontrare un grande storico dell'arte come Roberto Longhi, un grande scrittore come Giuseppe Raimondi, una grande figura di partito come Giorgio Amendola... Ma ve ne sarebbero ancora tanti meritevoli di una citazione; essendo tante le personalità che il caso mi ha offerto di sorprendere con lui in conviviale confidenza. Si potrebbe supporre che Sughi possieda un'invisibile arte di seduzione; quando però dalla discorsività puramente aneddotica la conversazione eleva i toni, dai toni confidenziali a quelli della ricerca di un modello o politico o culturale, allora puoi misurare la profondità e l'estensione delle conoscenze di Alberto Sughi. E, se sollecitato opportunamente, può accadere che allo stesso tavolo di osteria egli accetti di recitare con dizione impeccabile Eliot o Leopardi, Montale, Moretti o Guerra o il più vicino Tito Balestra. Così egli dimostra che non sempre la terribilità e l'enfasi sono i demoni indispensabili ai moderni per rivaleggiare con gli antichi, secondo il dettato goethiano; e che non esiste una vera e propria linea di demarcazione tra la pittura e la poesia e che è ancora e sempre possibile valicarla in un senso o nell'altro.

L'amicizia tra pittori e scrittori vanta un'illustre e lunga tradizio ne; che si è arricchita spesso nel tempo di interscambi proficui. Non è indispensabile risalire tanto nel tempo a un Michelangelo poeta, bastano un Victor Hugo o un Goethe o, in tempi più vicini, un Pirandello o un Savinio, per scoprire scrittori capaci di tradurre figurativamente le immagini del loro sogno letterario. Ma sono di appena ieri le sorprese che ci hanno riservato con la loro opera pittorica poeti e scrittori di fama quali Montale, Buzzati, Grande e Gatto; e, sul fronte opposto, le emozioni che abbiamo tratto dalla lettura di alcune pagine di De Pisis, o di tante liriche di Virgilio Guidi. Il che dimostra che le due discipline artistiche spesso interagiscono fra loro; e si assicura un avvio alla posterità l'artista che — come Sughi — sa tenersi in equilibrio sul di scrimine dominando tale interazione fra poesia e pittura.

Carlo Bernari in D. Micacchi, G. Proietti, C. Bernari, G. Santato, G. Bonini, Sughi: L'ombra della siepe (Edizione Utopia, Roma, 1987)

A.Sughi, Carlo Bernari

A.Sughi, Ritratto di Carlo Bernari, 1960

 

Carlo Bernari è nato a Napoli il 13 ottobre 1909 da famiglia di origine francese ...

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