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di Mario Ursino

La pittura come illustrazione del pensiero

Prima che cadesse il bicentenario della nascita del grande poeta di Recanati, nessun artista aveva mai pensato di illustrare il testo delle Operette morali. La poesia e il pensiero leopardiano, infatti, per la loro natura intimistica e solitaria, non si prestano facilmente al commento visivo e didascalico, come per esempio, nell'opera di altri grandi classici del passato, da Dante a Shakespeare. Rendere percio' la poetica del Leopardi, tutta permeata di pensiero filosofico, come nei forbiti dialoghi delle Operette morali, non poteva essere un' 'impresa semplice da condurre a termine ne' da immaginare, anche per un consolidato maestro contemporaneo come Alberto Sughi. Difatti l'artista stesso ci ha dichiarato le sue iniziali difficolta' a concepire pitture che potessero restituire pienamente il significato, il senso, o l'azione delle Operette, tutte imperniate, come e' noto, in un dialogo a due in uno spazio metafisico non sempre identificabile, con l'inevitabile rischio - riferisce ancora il maestro - di cedere al commento didascalico e ripetitivo di una banale e mera illustrazione.
Tali giustissime considerazioni, peraltro, vengono espresse da un artista che fin dai suoi esordi (a differenza di tanti altri illustri maestri) rifuggi' dall'impegno illustrativo, considerandolo un genere minore (almeno per la sua nascente ricerca), tanto da abbandonare il suo primo lavoro, giovanissimo a Torino presso la "Gazzetta del Popolo": "Fare l'illustratore non mi piaceva per niente e decisi, quindi, di piantare il pennino per il pennello. Lasciai contemporaneamente il posto". ("La Domenica del Corriere", 24.6.1976). Piu' che giustificate, dunque, le remore di Sughi di fronte all'impegno di dipingere delle tavole per l'attuale edizione speciale delle Operette morali. Ma fortunatamente la tensione creativa dell'artista ha avuto il sopravvento sulla perplessita' (addirittura ideologiche) di rappresentare con immagini il difficile testo leopardiano, che ora possiamo ammirare corredato dalle riproduzioni delle belle dodici tempere che finalmente Alberto Sughi ha realizzato.

Undici dipinti si riferiscono ad undici dialoghi fra i ventiquattro delle Operette. piu' un bellissimo (e' proprio il caso di dire), Ritratto immaginario del poeta, che si va ad aggiungere alle non molte effigi del concittadino di Recanati, considerando anche i busti commemorativi. Questo dipinto del Sughi intende certamente sublimare la fisionomia del poeta, e la bellezza interiore si fa immagine ideale, e Leopardi ci appare forte come una divinita' dell'Olimpo con la scarmigliata capigliatura che arieggia (almeno a me pare) un senso di alloro. L'espressione assorta che lo connota, inoltre, e' tipica dei personaggi (per lo piu' anonimi) che Sughi ha raffigurato nella sua inesausta ricerca realistica-esistenziale.
L'adozione di uno stile sublimato, se vogliamo neo-settecentesco, si diffonde anche, a mio avviso, nelle undici pitture illustrative dei dialoghi, nel contrasto che assumono queste tempere fra colore denso e scialbature come improvvisi colpi di luce (tipici dell'opera di Sughi). D'altra parte il substrato visivo nelle Operette morali allude spesso a fonti e narrazioni favolose (lo studio dell'antico) di cui era nutrita anche la cultura razional-illuminista di Leopardi, che non disdegnava altresi' di esplorare il mondo inconscio dell'immaginario, analogamente a motti artisti di area nordeuropea e protoromaneica (si veda in proposito l'interessante saggio di Ferruccio Ulivi, Fussli, Leopardi e il manierismo romantico, 1985, pp.57-63). Traspare quindi particolarmente significativo il richiamo a quel contesto culturale che Sughi fa aleggiare in questi dipinti che ben si addicono all' "arte fantastica e visionaria di fine settecento", per usare i termini che Giuliano Briganti adopero' nel suo importante studio I pittori dell'immaginario (1977), dove troviamo quel gruppo di artisti che dettero libero corso alla propria immaginazione, anche nei grandi cicli illustrativi. appunto Fussli, Blake, l'anonimo Maestro dei Giganti, e il meno noto svedese amico di Fussli, Jacob Tobias Sergel (1740-18 14).
E' come se l'ombra di questi maestri, quasi coevi di Leopardi, scivolasse da una all'altra di queste tavole per le Operette e che Alberto Sughi se ne lasciasse dolcemente guidare, scena per scena, ma sempre con il tratto del suo inconfondibile stile.
Vediamo infatti che l'azione di ciascuna immagine e' concentrata nell'atteggiamento delle figure, qui come in tutta la precedente produzione di Sughi, a partire dalle sue prime opere sul finire degli anni Cinquanta; in esse troviamo lo spazio immaginario (psichico), desumibile in parte dai dialoghi leopardiani, cosi come nei dipinti piu' noti dell'artista si definisce lo spazio urbano (altrettanto psichico) dove sono fissate quelle figure di sconosciuti che tanto ci incuriosiscono (chi sono? cosa fanno? dove vanno? La risposta ce la fornisce lo stesso Sughi in un suo lontano, lucidissimo quanto inquietante articolo, apparso sul "L'Unita'" del 14 aprile l96O, dat titolo emblematico: Guardare e capire). Ma tomando alle nostre suggestive tempere che affrontano i temi ironico-giocosi-filosofici di un Leopardi che medita e riflette con sofferente distacco sugli interrogativi eterni del mondo:
la vita, la morte, la natura, la felicita', il ruolo della scienza e soprattutto la noia e l'angoscia che da tutto questo deriva, precorrendo di circa due secoli, le filosofie e le problematiche esistenziali.
Ecco perche', in fondo, un artista come Alberto Sughi e' indubbiamente il piu' qualificato tra i maestri contemporanei ad aver avuto l'onere (ma penso anche il piacere) di illustrare le Operette morali. La sua poetica figurativa-esistenzialista non ha potuto altro che trovare quelle sicure consonanze nei dialoghi formulati dal poeta di Recanati, attraverso l'emergere di una condizione esistenziale fatta di solitudine e malinconia, ma riscattata in entrambi dal valore poetico delle immagini, liriche in Leopardi, visive in Sughi. Cosi Ercole giganteggia come un colosso dechirichiano (si pensi alle illustrazioni del suo noto romanzo Ebdomero) con le braccia levate ad accogliere il globo terrestre lanciatogli da Atlante (la sfera e' tanto leggera che stenta ad arrivare tra le braccia dell'eroe: e' la morale del dialogo). La Terra, invece, e' distesa, come una fanciulla in riva al mare, afflitta dalla noia, e inizia con la Luna il discorso sull'infelicita'. . ."perche' il male e' comune a tutti i pianeti dell'universo, o almeno di questo mondo solare..." dice il nostro satellite alla Terra. Nel Dialogo di un fisico e un metafisico, lo scheletro domina la scena, la figura in basso si rimette ad esso (la morte) come rimedio contro la noia; viceversa il Genio che dialoga con il Tasso cerca di convincere il poeta che :"il piacere e' un subbietto speculativo, e non reale; un desiderio, non un fatto, la composizione che qui Sughi immagina, il Tasso seduto che interroga il suo Genio, ricorda l'iconografia di un'opera del sopra citato J.T. Sergel, Il sentimento delle mie sofferenze, 1797 nel Museo Nazionale di Stoccolma, una delle illustrazioni del visionario amico di Fussli, del ciclo Sul cammino penoso della vita. La tavola dell'Islandese rende al meglio la furia degli elementi di una indomabile Natura (matrigna inconsapevole, secondo la morale leopardiana). Altra figura solitaria che guarda con preoccupazione da una rupe verso il basso e' Filippo Ottonieri (Leopardi autobiografico), meditando sulla "infelicissima vita dell'universo". Il mistero della morte, invece, resta insoluto di fronte all'interrogativo posto, come in una favola, dallo scienziato Ruysch alle sue mummie schierate che, per un antico sortilegio, si mettono a cantare "di mezzanotte come i galli", ma poi non sono in grado di dare alcuna convincente risposta sulla morte: "La morte non reca ne' dolore ne' piacere alcuno, come neanche il sonno", fa dire loro Leopardi.
Nella scena del Cantico del gallo silvestre, Sughi combina maestosamente il gigantesco gallo cabalistico-talmudico (si veda anche di Marc Chagall, Fenetre sur le village) che sta con le zampe sutla terra e la cresta e il becco nel cielo per svegliare i mortali con il suo canto mattutino: "Sorgete, ripigliatevi la soma della vita, riducetevi dal mondo falso nel vero..."; al gallo e' associata la figura di un uomo ancora profondamente addormentato che l'artista riprende da un suo noto dipinto del 1964, Uomo che dorme, un potentissimo soggetto tutto giocato baconianamente e drammaticamente nei toni grigio-azzurro con quei suoi carattenistici, corruschi e dinamici colpi di luce. Ancora una figura solitaria che si interroga e' il filosofo Eleandro, che ha compassione per l'uomo (sempre Leopardi), ma si tratta iconograficamente anche dell' Uomo al bar, 1960 di Sughi. Eleandro suggerisce contro l'infe1icita'. del vero "quelle immagini belle e felici, ancorche' vane, che danno pregio alla vita;". Nella tavola Plotino e Porfirio, due filosofi amici, come due luminose figure neoclassiche discutono con profonda sincerita' sulla noia, sulla vanita', sul vero, sul falso, sulla possibilita' di togliersi la vita come superamento della noia; il dialogo si conclude poi con le sagge parole di Plotino-Leopardi: 'Porfirio mio .non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita. Il Dialogo di Tristano e di un amico completa la selezione effettuata dal maestro Sughi; in esso si riassumono i temi leopardiani del sogno poetico, degli inganni dell'intelletto, della felicita' e dell'infelicita'; il Tristano e' sempre Leopardi (da triste); una figura, elegante, assorta, consapevole, scende le scale; si lascia alle spalle verso l'alto, la luce, la vita, un'immagine di due giovani amanti. Egli ha percorso tutti i gradini che Sughi ha posto al centro della scena e che stanno a significare, appunto, il sentimento ineluttabile della discesa, che, nel credo esistenziale del poeta di Recanati, conduce irrimediabilmente al momento della fine come liberazione da ogni affanno.


Mario Ursino, Roma 1999

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