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Alberto Sughi: Teatro d'Italia

estratto da una intervista con Biagio Dradi Maraldi

...Il .sentimento della tristezza e della solitudine che traspare attraverso un'opera d'arte non è necessariamente la tristezza, e la solitudine dell'autore. Se dipingere non significa solo "sentire", ma soprattutto "conoscere", un eccessivo coinvolgimento emotivo finirebbe per togliere lucidità all'artista.
Non ho mai preteso, d'altra parte, di attirare l'attenzione sul mio rapporto con la raealtà; ho cercato, semmai, di conoscere meglio le contraddizione che l'uomo ha trascinato, con sé, fino a oggi, cioè fino al massimo della sua modernità. Ad esempio: mi sono più volte sorpreso a rilevare quanto sia difficile, addirittura penoso, stabilire dei rapporti fortemente comunicativi all'interno di una società che ha fatto proprio della comunicazione l'aspetto più quotidiano della sua vita.


Non ho mai appartenuto a nessuna scuola; ma non sento per questo di dover prendere una distanza assoluta da chi si è comportato in un altro modo.
Faccio una netta distinzione tra il momento del progetto e cioé delle intenzioni, e quello del risultato, del valore dell'opera compiuta.
Mi sono sempre sentito piuttosto lontano dalla corrente neorealistica, perché le sue ragioni non mi stimolavano, mi sembravano inutili e persino dannose per confrontarmi liberamente con la realtà.
Ma c'è chi come, come ad esempioGuttuso, deve avere considerato lo stesso problema. in maniera diversa; e non sappiamo se certi suoi quadri sarebbero stati altrettanto belli senza un'adesione così piena al neorealismo.
Ciò che per un pittore è motivo di sollecitazione intellettuale e creativa, per un altro può essere motivo di frustrazione e prigione.
Chi pretende per sé la più ampia libertà di espressione non deve essere irritato quando altri artisti preferiscono percorsi diversi dal suo.


.. Le idee sono generalmente importanti anche per un pittore, ma valgono soprattutto quelle che animano la sua fantasia visiva, che stimolano la sua creatività.
Dare inizio a un quadro è come muoversi in una direzione; dipingere sarà poi come fare un viaggio, alle volte accidentato, che può portare dove non si era mai immaginato di arrivare. Oliviero Cromwell diceva che "nessuno va tanto lontano come chi non sa dove sta andando". Può darsi, per paradossale che sia. In ogni caso, ritengo che su un quadro, intanto, si potrebbe lavorare per un tempo lunghissimo.
Quando io sento che diventa una. voce viva, vorrei vivere con lui, stabilire un dialogo, azzuffarmi e convenire; non vorrei, insomma, che diventasse un'esperienza a cui si mette, con la firma, la parola fine.
Diversamente da come reputano molti critici, le modificazioni che un quadro subisce non sono da intendersi come "pentimenti" dell'artista; esse danno piuttosto la misura di un rapporto molto teso fra idea e immagine, ed è in questa tensione che si bruciano ipotesi e si rifanno progetti. Nel farsi dell'opera, infatti, riemerge continuamente quella complessità e polivalenza di rapporti che ognuno di noi ha con se stesso e la realtà. Sono innamorato del mio lavoro proprio perché mi offre la possibilità di coinvolgermi quasi senza darmi respiro, e di prendere coscienza, attraverso l'esperienza figurativa, di qualcosa che non conoscevo.


Un quadro è finito quando il rapporto dialettico si sta esaurendo, quando non c'è più spazio per ulteriori interventi; quando continuare a dipingerlo significherebbe solo un lavoro di rifinitura che tra l'altro, non di rado, riduce la forza dell'immagine. Ritengo che il quadro sia concluso non quando si è raggiunto il punto "alto" che ti eri prefisso, ma. quando arrivi al punto vero e proprio, l'ultimo e quindi unico: il momento del distacco. E' vero, ci vuole una motivazione per intraprendere qualsiasi cosa.... ma non è detto che sia fallito quel viaggio che anziché in India approda in America! Picasso diceva che non era tanto importante quello che si cerca, quanto quello che si trova.


Quando si comincia un quadro? Mah, si tratta di un momento particolare, pieno di aspettative... Potrei ricorrere a una similitudine con la giovinezza: essa è stata per ognuno di noi il tempo in cui si credeva di avere uno spazio illimitato da esplorare, chissà quali e quante cose si potevano scoprire, del mondo e di noi, in quello spazio infinito... e pareva di avere l'energia per percorrerlo tutto.
La tela bianca evoca quella sensazione trepida, incoraggiante. Mi sembra, ogni volta, di partire per un viaggio di cui non so quasi nulla, né quando finirà, né dove porta. Non è una bussola senza ago a guidarmi; al contrario, è credere nella semplice, fantastica, ineluttabile forza del viaggio.


in "Il Teatro d'Italia", Bruno Ghigi Editore, Rimini 1991

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