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Alberto Sughi su Immaginazione e Memoria della Famiglia

"La vera novità rispetto al mio lavoro precedente consiste nell'avere chiesto l'ausilio della memoria, a cui non mi ero mai rivolto con tanta ansietà, per rivisitare ciò che avevamo lasciato nella vecchia casa; per capire ciò che era giusto lasciarvi e cosa invece dovevamo por¬tare con noi. In questa rivisitazione mi è parso di dovere soprattutto cogliere il senso di una dignità che né i disagi, né la sofferenza, né il dolore, riuscivano a cancellare. Se questa dignità è il segno esistenziale di una cultura proletaria viene facile il confronto con la nevrosi che segna l'uomo della cultura consumistica... Non si tratta di nostalgia; non c'è desiderio di tornare sui propri passi per ritrovare luoghi e tempi rassicuranti. La memoria quando si sposa con la nostalgia, non è una memoria laica: genera solo illusioni. Io vorrei adoperare la memoria per restituire qualcosa al tempo presente; perché l'uomo di oggi sappia cosa ha perduto senza nemmeno accorgersene; quale prezzo ha dovuto pagare per uscire dalla povertà. Non so come, ma l'uomo ha bisogno di ritrovare; senza perdere ciò che ha acquistato, l'integrità, la dignità, la sua misura umana... Se è vero che i valori dell'ideologia cattolica trovarono il loro habitat più naturale nel corpo della civiltà contadina era impensabile che non se ne avvertisse lo spessore nella La famiglia... Mi è difficile immaginare che La famiglia possa assumere il significato di una scelta tematica che, per qualche verso, segni una rottura o, ancora di più, una contrapposizione rispetto al mio lavoro precedente. Io ho sempre cercato di condurre un'indagine accanita sulla condizione dell'uomo; sul suo malessere esistenziale che prende evidenza all'interno di situazioni apparentemente rassicuranti. Facciamo un esempio: quando nel 1967 dipinsi il ritratto di un uomo trincerato dietro file di televisori, frigoriferi, termosifoni, telefoni, volevo rappresentare il pericolo che l'uomo avrebbe corso se non avesse capito in tempo che non doveva mitizzare un benessere che lo stringeva in un pericoloso assedio. Il benessere si deve adoperare per vivere meglio, non vendere la propria vita per averlo. E così, quando nel 1976 dipinsi il ciclo della Cena, feci il ritratto di quell'uomo reso attonito dal non aver capito in tempo, che addirittura stava perdendo la memoria della sua antica dignità. Questa perdita della 'sua memoria' diventava il segno più allarmante. Nei quadri di oggi ho cercato di dare sostanza d'immagine alla memoria perduta. Non ho fatto il ritratto di una famiglia contadina, ho cercato di recuperare la nostra comune memoria".

Tratto da, Sergio Zavoli intervista ad Alberto Sughi, in Alberto Sughi: Immaginazione e Memoria della Famiglia (Roma 1981)


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