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Giuseppe Raimondi Lettera ad Alberto Sughi

La pianta del Ficus
Sughi: Ritratto di Raimondi
A. Sughi e G. Raimondi

 

Caro Sughi,

Cosa può valere una presentazione di prammatica per una mostra dei tuoi dipinti? La pittura di un pittore degno di questo nome è cosa che, per definizione, si presenta col proprio viso e nelle proprie vesti, che sono quelle che il pittore le ha imposto. E parla lei, da sola, con il naturale accento del proprio stile e con quello del temperamento del pittore, affacciandosi dalla tela dei quadri dipinti. E' cosa, è lavoro compiuto, in assoluto, per essere guardato dagli occhi e giudicato dall'ingegno della mente di chi ha la capacità per accostarlo.

A proposito di questa tua mostra romana, posso dire che mi fu dato di assistere, di volta in volta, alla prima nascita, ora paziente ora impetuosa e insieme accanita, delle pitture qui esposte. E ho potuto seguire la crescita e il perfezionamento di esse, continuamente osservate e assistite dalla attenzione appassionata del tuo pensiero, dall'ambizione poetica e direi anche morale, di chi voleva renderle mature in modo da presentarle con fiducia al giudizio degli altri.

Questo è il tuo lavoro, all'incirca, dell'ultimo anno. Tu vi stavi attaccato, lo tenevi nelle tue mani giorno per giorno, mentre d'altra parte mai, come in questo tempo, si avvertiva nella tua mente di pittore l'affollarsi di problemi nei quali le tue forze si dovevano impegnare con tutte le loro risorse naturali e di una cultura sempre in allarme. Hai faticato nella risoluzione di codesti problemi, hai riflettuto su di ogni possibilità ed eventualità proposte dall'animo pittorico, per giungere alle conclusioni che tu ritenevi le migliori, le più giuste. Affrontando impresa del quadro, dopo l'idea primaria e fondamentale, che in te è sempre spontanea, per mettere ogni parte della composizione, per trovare il punto e le zone da equilibrare secondo l'esigenza del tuo pensiero. In modo che, quando tu lo ritenevi, il quadro fosse in ogni luogo quella cosa, quell'oggetto di spirito e di materia a cui la tua mente, il tuo progetto miravano da tempo.

Mi sono ritrovato, rivedendo questi tuoi dipinti dell' ultimo anno, come fra cose e sentimenti divenuti ormaì familiari per me. Il mio mestiere, bene o male, è quello dello scrittore; come il tuo, con una vocazione del tutto nativa, è quello del pittore. Noi ci conosciamo da parecchi anni. E, proprio in questo tempo, dobbiamo avere scoperto che nel nostro lavoro, qualcosa di importante chiedeva di essere riesaminato e considerato di nuovo. Non nei temi, negli argomenti, che sempre sono stati i nostri dal principio; qualcosa piuttosto che ha rapporto, oltre che dentro di noi, con quello che accade al di fuori. Di questo ricominciamento abbiamo spesso parlato e parleremo ancora. Dalle tue nuove considerazioni di artista, ha avuto origine qualcosa che si riflette nella tua pittura di oggi.

Si ricomincia ogni giorno da capo, questo è il destino di chi fa dell'arte. Naturalmente, finché è possibile.

Invece della presentazione, in fondo superflua, ti mando questa letterina, quella di un amico che vuol sentirsi vicino all'amico nel momento, in cui questi espone al mondo e alla gente i frutti del suo lavoro. Così resterà anche il mio nome, in un angolo del catalogo della mostra, come segno, ripeto, di una comunanza di aspirazioni e di pensieri che ci lega come si legano la speranza e la fiducia di due uomini. I quali credono, in modo uguale, nella necessità della lotta quotidiana per le cose dell'arte e della poesia, così come credono nella vita umana. La più grande e disperata cosa che ci sia stata elargita dal caso.

Buona fortuna, caro Sughi, per il lavoro che hai fatto e per quello che farai.

Tuo Giuseppe Raimondi

Bologna, 20 novembre 1968

 

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