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Romano Manescalchi,

La Pittura di Alberto Sughi:uno sguardo pieno di stupore combattivo.

Alberto Sughi porta riflessa in se' tutta a temperie del suo tempo, segnata da quel montaliano "male di vivere" che ha impresso anche in lui le stimmate inguaribili della mentalita' cosi detta del Decadentismo, senza per altro averlo portato alla resa ed alla rassegnazione, ancora ben saldo sulla trincea di un'attiva e battagliera disperazione.
D'altra parte sta affiorando una reazione diftusa, entro cui puo' collocarsi tutta l'opera di Sughi, anticipatrice, a contrastare questo diffuso nichilismo. Di contro a tutte le negazioni pur vero che "colorata la vita resiste" (Barberi Squarotti), che ad un nulla assoluto non puo' ridursi tutto il nostro sentire, pensare, soffrire. Ed ecco, qui che mi pare si vada soffermando l'attenzione di tutti negli ultimi tempi: in questo "stupore" di fronte ad un mondo che, in contrasto con tutte le negazioni, "resiste". Questo stupore di fronte all'essere, un essere riscoperto, mi sembra costituire, tornare a costituire, il centro della meditazione generale: appunto questo "Staunen uber das Sein/Stupore di fronte all'essere", come suona il titolo di un libro recentemente comparso in Germania(Thomas Stauder- Staunen uber das Sein, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1997 ), un titolo che mi sembra cogliere una svolta nel comune sentire, nel porsi ormai in modo sempre piu' generalizzato e convinto di fronte al mondo ed alla vita appunto con questo "stupore". Non ancora quel rapimento "in giubilo per diletto ed in estasi per istupore" di un Bartoli (La ricreazione del savio, libro I, cap. II, Guanda p. 40-41), ma che una svolta ci sia mostrato da numerosi indizi, di cui non ultimo questo "stupore", questa specie di "attesa" che qualcosa arrivi a riscattarci, che mi sembra di vedere nella pittura di Alberto Sughi. Ed un'attesa/speranza generata dalla convinzione che, di contro a tutte le negazioni, "colorata la vita resiste". C'e' e ci siamo anche noi: ce lo garantisce il nostro soffrire. Questa "attesa", che e' "speranza", nasce in definitiva da una "fede", da questo "stupore riguardo l'essere", fede non ancora dichiarata e, forse, nemmeno chiaramente riconosciuta, ancora inplicita, ma sicuramente forte e costruttiva.
A questa conversione, a questo recupero del positivo o superamento di una mentalita' troppo insistentemente negativa, mi sembra dunque convergere anche l'indagine pittorica di Alberto Sughi, che aggiunge forse alla fede ed alla speranza gia' detti anche l'amore, non priva come e' di sofferenza, di attenzione umana, di amore appunto, nei riguardi di un'umanita' desolata e distrutta, avvelenata: dai ritmi impossibili della nostra vita non solo, ma anche dal saccheggio di quelle risorse morali e psicologiche della cultura tradizionale - vedi il personaggio inesistente o la giacca di un uomo(1968), che forse riporta al mondo di oggi l'intuizione che Calvino aveva proiettato nel mondo cavalleresco con il cavaliere inesistente - risorse sradicate dalla psiche come quell'umanita' dolorante e' stata sradicata dai suoi ambienti piu' a misura d'uomo: ambienti da salvare, magari con La trepidazione disperata dell'abbraccio di una colata di cemento (come il cretto burriano di Gibellina): sono una ricchezza che puo' ristorare i tanti malconci individui - psicologie frastornate, inconsapevoli zombi, spesso anche sorridenti ed apparentemente soddisfatti (smentiti pero' impietosamente dai fatti di cronaca: (Era un ragazzo tranquillo, guadagnava bene, amava divertirsi. Chi poteva mal credere. .
Come sono bravi a nascondere le loro angosce, il vuoto che da dentro li divora come un insaziabile buco nero!). Il Sughi ce li rappresenta con infinita pazienza e pietas, insistentemente, come estraendoli dai vari momenti del quotidiano, evidenziando le loro friabili corazze mentre ad un bar fanno una telefonata, fumano olimpicamente indifferenti a tutto e tutti, o amabilmente conversano (senza ascoltarsi). Ma lascio ad altri il discorso sulla pittura del Sughi in genere, per concentrarmi sull'impegno di quelle rappresentazioni concernenti la letteratura italiana, campo dove posso dire qualcosa di piu' significativo. Perche' innanzi tutto questo impegno cosi faticoso ed amoroso nel campo letterario? E' forse la nostalgia ed il ripiegamento di chi, sconfitto si rifugia nel mondo dell'adolescenza, chiudendosi ai problemi della vita, in una torre d'avorio, e rinunciando alla lotta? Non mi sembra proprio il caso del Sughi che avanza su questo terreno con intenti tuttaltro che rinunciatari. E' un atteggiamento che mi pare faccia parte di quella generale conversione da una testarda, cocciuta, (e non del tutto fondata) visione nichilista, che tutto voleva affossare e distruggere, verso una visione della vita che non si fa certo facili illusioni ma non vuol essere pregiudizievolmente chiusa al riconoscimento di cio' che non si puo' non vedere ed ammettere. Non una nostalgica, pigra, indolente ed in definitiva inerte volonta' di recupero, di tipo museale; ma uno sguardo sobrio, solido e coraggioso sulla realta' delle cose per riconoscere quello che e' e quello che non e' con sottintesa la consapevolezza del valore di queste radici, che possono ricreare le strutture di quelle psichi disintegrate di cui prima si e' detto.
Ed al di fuori - intelligentemente - di condizionamenti critici ancor oggi sotto 'influenza della derridiana e gadameriana semiosi infinita che non incoraggia e guida il lettore, ma lo frastorna: con una sua personalissima reazione che puo' anche non soddisfare sul piano filologico, ma che e' sicuramente viva. Daltro canto la Divina Commedia, come poi ogni altra opera d'arte, vale per quello che di volta in volta ci comunica, per quello che di volta in volta di essa riusciamo a far nostro. Non possiamo tradire cio' che ci hanno detto questi autori che hanno accompagnato la nostra crescita adolescenziale. In cio' che ci hanno fatto capire o sognare la loro sostanza in noi. Solo ridandoli in questa prospettiva possono essere vivi e convincenti. E Sughi li ricrea a seconda di come li ha interiormente rivissuti, a seconda di cio' che hanno effettivamente significato nella sua vita. Per fare un esempio il ritratto del Manzoni deriva filologicamente da quello di Francesco Hayez della pinacoteca di Brera, contaminato forse con quello custodito in casa Manzoni, a Milano, che ritrae lo scrittore ormai sessantatreenne, nel 1848. In tutti lo stesso volto affilato, scrutatore. Ma Francesco Hayez ci da' un Manzoni tranquillo e sereno, olimpicamente dominatore del reale (come ii Manzoni non era). Quello del '48 e' piu' tormentato, moderno e pieno, con la testa piegata da un pensiero che non sembra di fede (che ii Manzoni forse non aveva): ed e' gia' vicino a questo del Sughi, dove ii sorriso di sufficienza, di chi vuol darsi un tono, non e' certo quello disteso dell'Hayez, che non ci da nemmeno le rughe sulla fronte, ne' i chiaroscuri tormentati di questo del Sughi. Stesso vestito ed acconciatura, ma ii Sughi ce lo da' in piedi, nel'impegno di chi lotta e cerca, e non comodamente seduto come chi e' "arrivato". In una parola questo "Manzoni" del Sughi e' divenuto fratello dei tanti individui del nostro tempo da lui tanto spesso rappresentati.
Stessa liberta' con Dante. Cosa davvero saggia, visto l'inestricabile labirinto interpretativo della selva selvaggia relativa a questo poema, vera foresta vergine amazzonica. E quindi saggio che ciascuno faccia affidamento su quello che ha fatto suo nell'incontro che ciascuno ha compiuto con il poeta e da cui tutti abbiamo tratto linfa vitale. Le rappresentazioni del Sughi sono da vedere quindi piu' come opere autonome, che di illustrazione o di interpretazione, come quelle del Botticelli, di Luca Signorelli, William Blake, Johan Heinrich Fussli, Gustav Dore', capolavori da ammirare in se stessi.
A Sughi interessa l'utilizzo che egli puo' fare di questi elementi della cultura del passato, per capire e rappresentare loggi, cio' che avviene oggi. Solo se si comprende questo potremo comprendere, ad esempio, un ciclo come Dante fra noi, dove il sommo poeta e' mescolato a vicende e persone della vita di oggi: a misurare una distanza o a significare una presenza che comunque continua, visto che, anche limitandoci alle sole letture scolastiche, i conti con Dante di fatto li dobbiamo fare. La stessa cosa mi pare di poter dire dell'altra produzione rivolta all'Alighieri, come le illustrazioni per la Vita Nova, dove i personaggi sembrano uscire dall'atmosfera rarefatta del romanzo e caricarsi corposamente dei sentimenti di tutti. Come evidente nei Ritratti inmaginari di Dante dove, nemmeno poi in modo molto coperto, sembrano potersi leggere i tormenti e le tensioni dell'uomo di oggi, trasposizione, mi pare di dover dire, delle contenute tensioni dello stesso uomo e pittore Alberto Sughi.


Romano Manescalchi, 2003

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