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Alberto Sughi, l'Attesa, 2006

 

........ Sughi, l'Attesa, 2006

 

 

Sughi, il Segno e l'Immagine, di Giovanni Faccenda

«Le cose si scoprono attraverso i ricordi che se ne hanno.»
C. Pavese, // mestiere di vivere, 1952

Rincorro con la memoria i fugaci fotogrammi di un'estate romana nella quale, per un attimo, tutto sembrò possibile, a cominciare da certi sogni: i tramonti al Pincio, le passeggiate a Trastevere, un metafisico dialogo con Bernini e Borromini lungo via delle Quattro Fontane, a ridosso della finestra da cui amava affacciarsi, durante il suo soggiorno capitolino, Arnold Bòcklin. Neanche nove mesi dopo mi ritrovo qui, invece, a godere dell'unica cosa buona che il destino ha tratto in salvo dal naufragio di quei giorni: i dipinti di Alberto Sughi. Un gruppo di opere realizzate fra Roma e la Romagna, nelle quali risalta il codice severo, l'ambito sorvegliato, un magistero grafico sorretto da una florida immaginazione e da un vigore, diresti, persino sorprendente.

Tutt'altro che disgiunti da un intendimento espressivo riferibile alla prima metà degli anni Sessanta, i primi di questi lavori nacquero fra lo stupore e l'ammirazione dei pochi, selezionati frequentatori dello studio del maestro. Subito, infatti, si ebbe modo di riconoscere l'antica vocazione, l'urgenza che andava manifestandosi in composizioni inattese, ricche di varianti stilistiche e ricercatezze cromatiche. Di più: crescevano e si consolidavano pause e ritmi in grembo a una rinnovata narrativa, ora esaltata anche da un maggiore impegno nel versante della ricerca e della tecnica. Rimanevano naturalmente sotterranee le consuete complicanze, alcune suggestioni interne a una rappresentazione improvvisamente accompagnata da insoliti automatismi, l'arcano sapore di un'esistenza indagata attraverso i suoi più ambigui accadimenti. E risorgeva la figura umana come enigmatica protagonista oltre il consueto arabesco di segni, ormai emancipato da ogni legame, nel quale arrivavano intenzionalmente a fondersi etica ed estetica tipiche dell'espressione di Sughi.

Le fotografie dei quadri che ordino oggi sul mio tavolo riecheggiano varie consonanze di quell'operoso periodo, che ritroviamo esteso, peraltro, alla feconda attualità. D'acchito colpisce, come già era successo al cospetto dei disegni antesignani, il carattere sorgivo di composizioni tanto compiute e complesse quanto appariscenti e pacificate, quasi l'ardore, che ne aveva contraddistinto la lunga gestazione, si fosse infine sedimentato al pari di alcune dissimulate reminiscenze.

Ma ciò che soprattutto stupisce, di questa stagione creativa di Sughi destinata a insistere nel tempo, è il rapporto partecipato, vibrante, con un altrove che s'indovina speculare al suo teatro intcriore, un luogo abitato da multiformi essenze sul punto di ritrovare la loro dimensione corporea. Quanto appartiene alla successiva conversione iconografica, alla scultorea incarnazione di simili entità immateriali, rinsalda la proporzione di uno scandaglio esistenziale avverso a ogni pregiudizio, disposto soltanto ad ascoltare una sua corda intima e continuamente votato alla ricerca di verità. L'esercizio espressivo asseconda repentine sollecitazioni, condiscende a multiformi effervescenze. Non muta, ovviamente, la dimensione intellettuale di immagini così realistiche da tradire il loro effettivo, originario spunto fantastico, nelle quali l'apparente isolamento che circonda i vari protagonisti, insieme al loro stesso scenografico distacco, talvolta ha indotto all'equivoco di pensare a una gelida forma di incomunicabilità.

Partecipano, al contrario, in modo ardente ed emblematico, quegli uomini e quelle donne incontrati a un'ora indefinita del giorno o della sera, nelle loro case, al parco o in un bar, il senso di una riflessione tanto eclatante ed esasperata da assumere sembianze ombrose, fissità di sguardi smarriti nello spazio e nel tempo, palmi richiusi di mani portate alla guancia o al mento come a puntellare un più intimo decadimento. Autentiche visioni in cui si mescolano letture assorte, inquiete partite a carte, mozziconi di sigarette accese che si spengono lentamente, fra l'indice e il medio, come le illusioni che hanno alimentato tante vite precarie. Il tono della descrizione, pur grave, non implica tuttavia il senso del travaglio o dell'angoscia. Affiora, semmai, un genere di oppressione, di ansia dovuta a fatti rimasti irrisolti - dubbi che continuano a non avere spiegazione —, al fondo dei quali la mente torna, talora, con malinconia e rimpianto, quasi fosse richiamata da una lontana eco.

La curiosità porterebbe a chiedersi quanto ci sia di autobiografico in queste pagine che esplici-tano la trama della realtà come il verso dell'esistenza: aspetto, questo, marginale dinanzi a scene di per sé enigmatiche e come sigillate in

un'ampolla di vetro, nella cui sfumata trasparenza è dato di riconoscere l'implicito rifiuto a ogni artificio o succedaneo. Interessi, piuttosto, la misurata ricorrenza di alcuni simboli concretati (lo specchio, la maschera, il cane, la telefonata...), perni di un'allegoria densa di intuizioni e misteriosi presagi nella quale intuisci logori sottofondi di musica jazz, fragranze raffinate di agrumi e di lavanda, l'odore inconfondibile del tabacco bruciato in superficie ai calici di whisky o di brandy. Interni che contengono l'uomo come la sabbia, una clessidra.

Cospicuo, il bilancio. L'impegno creativo mostrato da Sughi in questi mesi ha infatti dato frutti aristocratici, significanti ed esaustivi. Non eravamo noi ad attenderlo a questo traguardo: lui se lo era imposto e tante interne e intense esortazioni lo avevano incalzato. Ha pure fatto i conti, il maestro, con varie avversità, e anche la salute non sempre gli è stata benevola. Ma il «viaggio intorno all'uomo» è continuato, e continua, curioso, in questa notte della dolce vita. Fra via Veneto e la Romagna. La terra che ne ha salutato le ansiose partenze, accolto i febbrili ritorni. Il luogo dal quale, in verità, egli non si è mai allontanato. Se non altro con il pensiero. Certo con quel sentimento che ancora rabbrividisce dentro il suo animo.

Firenze, marzo 2006.

Sughi il Segno e l'Immagine e' pubblicato nel volume per la rassegna antologica di Alberto Sughi, Il Segno e l'Immagine a cura di Giovanni Faccenda, Arezzo Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea 14 Aprile - 21 Maggio 2006

 

 

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