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........ Sughi, La fine di una storia, 2006

 

 

Alberto Sughi, Ritratto come doppio di noi, di Luigi Cavallo


II segno innesca il meccanismo dell'immagine. Segno rapido e ripercorso, tramato come per mettere a fuoco la memoria e l'esperienza di un insieme figurale. Il segno definisce e pure nasconde le evidenze dei volti, le emozioni, il sostrato di figure a tutto tondo che sono gli altri, il prossimo perplesso nelle proprie isolate situazioni. La cancellatura, che interrompe il filo dei contorni e rende più larga e percepibile l'ambientazione, colora gli spazi, da sospensione drammatica ai profili. Ciò che nel pastello sembra scivolare verso sensazioni morbide e fumose viene ripreso con una traccia innervata, come un colpo di redini, eccitata dall'ambiguità di presenze che sono insieme ferme e divaganti, libere dalla realtà e raccolte in pensieri privati, in giochi di rarefazione. E sembra quasi che l'artista, in alcuni disegni, parta da una parola, anziché da una cosa vista. Una parola come "indizio", "fuga", "freddo". Sughi ha approfondito il carattere di un luogo poetico che negli anni ha costruito come edificio espressivo senza cedere a superficiali deviazioni per catturare modernismi e deformismi che non appartengono alla sua storia: ha rinnovato sempre in profondo, aggiungendo in modo spontaneo nelle immagini quanto via via gli sembrava coerente con il discorso di appropriazione che l'uomo contemporaneo doveva riassumere per non far scomparire la propria effigie dallo schermo, dal palcoscenico narrativo. Ha lavorato sul senso delle figure e sul significato di quei rapporti-raffronti difficili, e ancor più contraddittori, nel tempo nostro, come testimonianze di misure fisiche e psichiche in evoluzione e in movimento, talvolta poco visibile. Non sempre il movimento è progresso, avanzamento di comunicativa, talora la realtà isola gli individui in una capsula ermetica e l'artista segue i fermenti che spaesano, distolgono energie vitali, che uomini e donne percepiscono quali difficoltà di trovare propri precisi ruoli nella società, nella famiglia, nell'insieme viscoso delle alternanze intimità-affollamento. L'indagine dell'artista è densa di orditure sottopelle, in questo gruppo recente di opere, la pagina percorsa da fremiti e insistenze, il segno svuota e riempie il clima delle tensioni che si dipanano tra figura e figura: il volto è insieme

rilievo umano e maschera teatrale: fatto interpretativo che concentra espressione classica e icona moderna. Il soggetto si offre e si nasconde, si ritrae nelle proprie valve di mistero. Hai quasi timore, osservando queste carte, che sia alzato il tiro su troppo scoperte accuse, sull'evidente malessere che affiora in noi. Temiamo che l'autore dica troppo, che renda scoperta e dolorosa una ferita per quel suo gusto di guardare a fondo, con irriverenza e imparzialità. Non vogliamo essere colpiti in modo violento e diretto. E Sughi sa contenere in un alveo di rarefatte incidenze e coincidenze ciò che ha compreso, che mantiene in un linguaggio di equivalenze alte, fuori e sopra le contingenze. Tocca, fa rabbrividire i suoi protagonisti, e in questo ci contagia, ma non infierisce, basta qualche cenno a chi intende il disagio e ne partecipa la trama. Sughi guarda alla natura, certo, con appassionati riscontri, si fa sollecitare e suggerire da essa, e nello stesso tempo immagina ciò che la natura nasconde, quanto la vita ha reso ibrido nel campo dell'essere. La vita che a noi sottrae le possi-


bilità di rivelarci quali siamo, la società che inocula formule di apparenze e umilia la sostanza di verità. Esprimere questo con il disegno vuoi dire aver percorso e compreso, magari in senso autobiografico, quel tanto di insuperabile che resta nel margine della trama esistenziale. È qui uno dei nuclei emotivi di Alberto Sughi: mettere in campo la duplicità dell'essere, la teatralità dell'agire quotidiano - il trucco del viso e della mente — e la dura presa di coscienza che l'io e la solitudine impongono. L'artista coglie il momento di fusione di tali doppiezze, si insinua nella trama, questo è ciò che Sughi prende da se stesso, dopo che ha bene individuato la propria vicenda stilistica, quanto ha costruito negli anni offrendoci materia di riflessione, fomentando allegorie e bivalenze, uomo-donna, interno-esterno, pieno-vuoto di situazioni e componenti in apparenza logiche, e che invece ci portano a condizioni irrazionali, a ciò che possiamo dire un arricchimento, per induzione indiretta, delle sensazioni reali. Sembra ora superfluo peregrinare su nomi e correnti esterni al nucleo compatto della creatività di Sughi; è nella sua storia, nel concatenarsi delle stagioni e delle varianti che ci ha offerto che si può leggere la sua partecipazione alla cultura del nostro paese.
Ogni sua proposta induce a un rovescio della medaglia, ogni fisionomia che guarda nel vuoto ha atteggiamenti riflessivi che esplicitano attenzioni intcriori; è l'uomo che rivolge al proprio intimo la ricerca di una identità, ritratto che ha molti volti.
Coloro che stanno in un medesimo luogo, le coppie che condividono un locale, sono spesso più distanti di chi abita in città diverse e questo è indizio delle lacerazioni che fratturano la nostra epoca, l'età della mistificazione, virtualità anziché realtà; finzione della finzione. Il pittore non può che prendere atto di tale deviazione, senza nostalgia, senza neppure ironia, assiste a uno spettacolo, accompagna la sua visione con una precisione di pensiero che scava ogni ruga fisica e ogni ruga psicologica. Ciò che guarda è quanto ricorda, ciò che disegna è formato nella sua facoltà di dare corpo alle ombre della memoria; si manifesta in piena individuazione di luce e buio, ma pure di odo-

ri, temperature, liquidità di voci e suoni: nelle figure di donna percepisci aroma di cipria e guizzare di sguardi; l'attesa di qualcosa che sia interruzione del silenzio, proiezione di nuovi ritmi sentimentali, magari solo di un velo che passa sulla lampada e modifica i riflessi e quasi le proporzioni, le sonorità delle stanze. L'occhio di Sughi accetta la tenerezza di un invito al dialogo e la frequenza di una giornata che tramonta senza illusioni.
Il segno cresce e si infittisce con l'infittirsi delle complessità interpretative; è conseguenza di un rapporto critico con le figure, in una scelta di profonde compartecipazioni e distonie che rendono al disegno continue sollecitazioni, mutamenti di umore. Quelle tramature che si addensano in nodi formali e per riferimento tentano a volte la plastica antica a volte la provocatoria dinamica espressionista, sono non più che impasti, flussi di pensiero, dimostrano la compiuta maturità di un artista che non si vieta alcuna referenza per restare se stesso. Sughi accenta l'inquietudine come percorso di valori, e se coglie taluni istanti di contemplazione nei suoi attori è sempre vigile a far vibrare come sonori significati le pause formative, quei connettivi che introducono la resa saliente dell'immagine, il rintocco di una frase tagliente, suscitatrice. Disegna una donna in poltrona e con ispidi tratti alimenta il tepore di una pelle appena accarezzata; amore, ricordo, impazienza turbano la figura disponendo un rapporto tutt'altro che sereno. La destinazione è restare in quella poltrona, in quella camera, dove si produce lo spiazzamento fisico dell'attesa, attesa di quel nulla che allaga le stanze contemporanee. La sua opera ci consente ingressi maliziosi negli specchi dell'anima, ingressi che frequentiamo come fossero sconosciuti e sono quelli che varchiamo ogni giorno. L'indiscrezione è una qualità del segno; energia che collima nella necessità di manifestarsi, congrua alle perplessità, alle incertezze del modello affrontato. Sughi ci fa restare in questo mondo eccitando ancora nella figura gli spessori ignoti, le perplessità, i tramiti di sogno e verità che restano dimensione irrinunciabile per l'uomo.
Marzo 2006

Alberto Sughi, Ritratto come doppio di noi, di Luigi Cavallo e' pubblicato nel volume per la rassegna antologica di Alberto Sughi, Il Segno e l'Immagine a cura di Giovanni Faccenda, Arezzo Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea 14 Aprile - 21 Maggio 2006

 

 

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