10 April 2012
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Francesco Gallo, Sughi un sapiente, un visionario,
Il Denaro, Napoli, 7 Aprile 2012, no. 40, pag. 44

Con la scomparsa di Alberto Sughi il cerchio del novecento si è ulteriormente ristretto diventando sempre più storia, racconto, memoria, che rapporta l’ordine delle cose, fatto di biografie, di opere, di movimenti, di linguaggi, ad una sistemazione del tutto imprevedibile, appena dieci o dodici anni fa, quando ancora, tutto, sapeva di fresco, di attualità, di accadimento, forse per quel numero nove che richiamava immediatamente il mille, che ora non c’è più e si allontana ineluttabilmente.
Un uomo intelligente, sapiente in senso alto, con una conoscenza verticale, profonda, orizzontale, estesa, capace di comprendere, valutare, scegliere, come oggi accade sempre più di rado, in un mondo in cui l’indecisione, l’imprecisione, la confusione, sta diventando sovrana, accartocciata si forme dell’apparire, sempre più vacue e sfuggenti, mentre ogni “metafisica” dell’essere, si avvolge sempre più in una spettacolarizzazione, che non permette, anche volendolo, di potersi presentare, come grande spiriti anti. Io l’ho conosciuto una decina di anni fa, a Forlì, nella terra dove non ha mai cessato di essere un re, anche dopo il suo abbandono, mai totale, per la verità, per il suo esilio dorato, romano, che gli ha dato tanto successo e tanto riconoscimento, ma mai quella consacrazione, che era nel suo credo più profondo.
I suoi racconti su De Chirico, su Savinio, su Guttuso, erano sempre sapidi e pieni di rivelazioni pulsanti, delucidanti, mai imperniati sul pettegolezzo in omaggio ad un suo alto senso della vita, dei suoi mille fili, che vanno dalla fisica dei corpi e dei sensi, in amore, alla simbolicità, delle immagini e delle parole, che nei suoi quadri sono fatte intuire più che vedere, che è poi il coinvolgimento della sua pittura, fatta di silenzi, di sguardi, di atmosfere, in una grande sospensione, onirica, fantasiosa.
L’ultimo incontro significativo, è stato di quattro anni fa, a Palermo, in occasione di una sua grande mostra antologica, che lo ha visto, più attento che mai, alle regole del saper vedere, che ad ogni occasione detta le corrispondenze architetturali degli spazi, che chiedono una dialettica di pieni e di vuoti, capace di indirizzare la visibilità, sulle linee dell’imprevedibile, della sorpresa, sempre nuovo e sorprendente.
Si leggeva, nei suoi occhi e nel suo sguardo, una grande fierezza, venata da una sottile malinconia per il tempo perduto, per le incombenti ombre della sera, che ora s’è fatta notte, eppure sempre attento alla battuta, anche alla posa fotografica, come un personaggio delle sue pitture, dove l’eros era sempre schiacciato dagli stereotipi e dei luoghi comuni. Ma, senza mai l’impressione di volerla dare per vinta, consapevole della durezza della strada del successo e della irriducibilità, del suo codice, alle atmosfere, alle luci, alle aspirazioni di un’anacronista, quale lui amava superbamente, di voler essere.
Resta, nel suo mondo poetico, una velatura della sua visione del mondo, una interpretazione del tramonto di una certa borghesia provinciale, tutta impregnata di perbenismo, che a lui stava tanto sullo stomaco, tanto da non lasciarla respirare, nel suo inseguimento, quadro dopo quadro, caffè dopo caffè, in un romanzo d’immagini, dal finale aperto, senza moralismi, come si addice ad un espressionismo, che si guarda dentro, prima di guardare fuori, che rispecchia se stesso prima di fulminare gli altri.
Una bella lezione di pittura, senza dubbio, tutta scoperta, ma tutta da scoprire e non importa, se alcune intemperanze del suo ultimo scorcio di vita, tendevano a lasciarlo freddo, ironico o cominciavano a sfuggirgli le grida troppo teatrali e senza emozione e senza dolore (e infatti non dipingeva mai giovani, ma sempre gente di una certa età, vestita di moda retrò).
La sua forza, appare intatta, ancora oggi, così come la sua verità, senza voltarsi mai indietro, con un presente lucido, consapevole della storia, mai incatenato ad essa, guardando avanti, senza pensare di potere svolgere tutte le parti della commedia del mondo, ma stando bene attento ad interpretare, la sua, fino in fondo.

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10 Aprile 2012

 
 
 
 
 
 
    
    

 

 

 

 

 

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