4 April 2012
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Marco Vallora, Alberto Sughi, la pittura come critica sociale.
La Stampa, Torino, 2 Aprile 2012, p. 34

Speriamo non sia blasfemo, e lui probabilmente avrebbe sanguignamente convenuto, osservare che talvolta i nomi dei pittori hanno un loro casalingo sapore nomen omen . Profetico, riassuntivo, allusivo. Alberto Sughi, che è scomparso ottantaquattrenne nella sua elettiva città di professione, Roma (faceva parte infatti della cosiddetta Scuola di Portonaccio, insieme a Muccini e a Vespigani) portava nella sua pesta ed accesa pittura di costume, qualcosa che ha visceralmente a che fare con i sughi grassi e sarcastici della sua Romagna.

Osiamo, senz’alcuna volontà denigratoria: paonazze e sulfuree lasagne di sapiente pittura, torrentizia e visionaria, espressionisticamente all’italiana (ma senza dimenticare Dix, Grosz, Varlin e Soutine). Schegge impazzite di affettata critica sociale.
Uno dei suoi ultimi cicli di sarcastica protesta politico-sociale (grande amico di Trombadori e di Amendola, suoi esegeti, insieme al romanziere Giorgio Bassani e del Presidente Napolitano, che lo piange quale compagno d’azione essendo stato anche consigliere comunale e cantore del realismo socialista, in alternativa a Guttuso) si intitola appunto La cena . Con tutti i significati allegorici e brechtiani, connessi alla bulimia aggressiva del boom consumistico anni Cinquanta-Sessanta: la Seicento, la vacanza al mare, i salotti romani.

Ettore Scola lo aveva scelto come affichista della sua Terrazza, Monicelli come «consulente» cromatico per Un borghese piccolo piccolo . Pittura avvelenata di miasmi sociali, di falò incandescenti e sulfurei, come quelli delle generose puttane, felliniane e ziveriane, posate a macchia di leopardo, nelle desolate stradone assolate della sua Riviera, anche se Roma lo aveva poi assorbito, con i suoi rannuvolati fumi ferroviari (memorabile il quadro dell’ Uomo con valigia, smarrito nella giunga della distratta metropoli, senza più alcuna memoria classica).

Illustratore per la Gazzetta del Popolo Sughi non ha mai rinnegato questa «necessità» illustrativa, salvandosi dal kitsch con il suo fumigante gioco di sinopia, sfibbrata al carboncino.


4 Aprile 2012

 
 
 
 
 
 
    
    

 

 

 

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