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Alberto Sughi

Absolutearts Blogs

Blogs sull'Arte 2005/09

Alberto Sughi

 

15 Ottobre 2009: “E poi non sara' nemmeno cosi'

Ho trovato, in un mio vecchio quaderno, questo appunto che avevo sottolineato:

“Io lavoro sempre fino a sera tarda impegnato in uno scontro da cui non so come potrò uscirne. Ho ancora speranza di fare qualcosa di buono; ma sarebbe necessario che mi arrivassero due o tre “illuminazioni”. Se non arrivano sarà un lavoro da rimandare ancora di qualche tempo; immagino che finirà proprio così perché non è un problema di “illuminazioni”.
Il fatto è che tutto è poco chiaro interno a noi e la pittura risente di queste mancanze di certezze. Alle volte penso quasi che il significato del mio lavoro sia riposto  esclusivamente nello svolgimento di un quadro;   nei continui riferimenti e modificazioni;  nelle piccole scoperte che sembrano zattere a cui aggrapparsi e che poi naufragano inghiottendo segni, colori e pseudo-significati.
Il quadro finito, esposto, incorniciato, fotografato è solo   un atto convenzionale; è una antica norma della nostra professione di pittori, ma  non è detto che ci rappresenti ad un livello completo.
Voglio dire, in ultima analisi, che sarebbe più testimoniante la storia dei fallimenti su una tela per comprendere un pittore, che non la somma di modi, di compromessi, di esperienza, o altro che ha adoperato per portarla a termine.
E poi non sarà nemmeno così! “

 Mi è sembrato che valesse la pena di farlo leggere anche ai miei amici  di AbsoluteArts che ringrazio per l’attenzione con cui seguono  il mio blog.
A tutti un caro saluto e un augurio di buon lavoro.

Alberto Sughi , Roma 2009

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25 Giugno 2009: “La Classe Dirigente

Lo scorso mese di Aprile uno dei lettori dei miei blogs per Absolutearts mi chiedeva
“Sulla website www.albertosughi.com c’e’ un quadro di grande forza che s’intitola La classe dirigente. Mi piacerebbe un giorno potere partecipare ad una discussione su questo dipinto”.

E dal momento che gia’ allora presi l’impegno con questo mio caro lettore che un giorno avrei provato a tenere una discussione in proposito, oggi provero’ a mantenere la promessa. Probabilmente per comprendere meglio La classe dirigente (Olio su tela, 165x140cm, 1965) dobbiamo leggere l’opera nel contesto di un altro gruppo di lavori che dipinsi tra l’anno 1964 e 1965 appunto. Quindi iniziamo subito esaminando L’Ora Storica un dipinto che nel 1964 gia’ affrontava il problema della classe dirigente politica.

L’Ora Storica (1964-1965) e’un trittico di centimetri 165 x 420 , uno dei quadri che più risentono non del mondo di Bacon ma della grafia di Bacon, del graffiare la tela, del suo modo di dipingere di prima sulla tela non preparata in modo molto aperto, con delle grandi campiture, un modo che mi aveva molto suggestionato. Ho sentito una attrazione sopra tutto per tre pittori: Degas, Munch, Bacon. Per la verità io trovo poi affinità, anche se nascosta non dal punto di vista tematico ma come modo di affrontare la tela, una grande affinità fra Degas e Bacon. Fra l’altro Bacon viene da Sickert il quale veniva da Degas e aveva dei modi di dipingere certi nudi che potevano anche alludere al segno scabro di Munch. Un pittore che non ha problemi di poetica perché è sicuro di rimanere sempre se stesso non deve avere nessuna difficoltà nel rubare agli altri quello che gli serve per la propria pittura. Voglio dire che la pittura nasce dalla pittura ma si modifica continuamente quando incontra un autore che non è contaminato dalla poetica di un altro, ma si appropria di modi, di tecniche, di maniere per dare forza alla propria immaginazione. Questo è un quadro, è un trittico, ha i modi di Bacon ma non rappresenta niente di quello che la pittura di Bacon rappresenta, addirittura è un quadro che ha come ispirazione la critica del mondo politico italiano e il rifiuto del -compromesso storico-; si ha paura di un governo, si ha paura che uno salga su una cattedra nera, quando ho dipinto il nero della cattedra mi sono addirittura ricordato del quadrato nero di Malevitch. E poi ecco una figura senza volto che si leva nell’atto di togliersi la giacca e di prepararsi a comandare. Se vogliamo fare una digressione contenutistica, il titolo avrei potuto rubarlo anche da Goya, Il sonno della ragione genera mostri. Subito dopo il Trittico iniziai a lavorare ad un nuovo gruppo di dipinti: Uomo alla finestra, Uomo col cane e La classe dirigente appunto. In questo nuovo gruppo di opere c’è, rispetto al mio lavoro precedente, l’intervento di una geometrizzazione sopra le figure o per imprigionarle, chiuderle come dentro una gabbia, o per dare loro più risalto come in Uomo alla finestra che dall’interno guarda fuori; anche in Uomo col cane ci sono due righe che indicano quasi la porta dalla quale esce il padrone e il cane gli va incontro; sopra tutto in La classe dirigente vediamo delle forme geometriche che calano sopra le figure. C’è una geometrizzazione che prima non avveniva e che in questo momento è molto evidente. Se devo fare una considerazione guardando questi quadri: tutte le volte che ho affrontato il problema della classe dirigente, anche il Trittico affrontava quel problema, ne ho parlato quasi come se lì si potesse trovare la ragione, la radice del malessere dell’uomo contemporaneo, quasi pensando che proprio alla classe dirigente spetti il compito di agire per rendere la vita più facile a tutti. Chi ha un compito di ridistribuzione del denaro e del potere, di progettazione di regole, in effetti invece è una figura che non ha niente da dire agli altri ma piuttosto solo a se stesso. Oggi si parla di una casta politica, io, tutte le volte che ho rappresentato qualche cosa che attiene alla politica, ne ho sempre parlato proprio come di una casta. Ed è strano, anche in un quadro che fu dipinto molto piu’ tardi, ma che ha attinenza con questi temi, Tramonto romano, vediamo i politici che si inchinano, baciano una donna nuda che rappresenta la corruzione, rappresenta tutto quello che una Roma del potere muove in modo sconcertante. Come a dire che chi ci dovrebbe rappresentare non rappresenta che se stesso; siamo quindi soli a fare i conti con qualche cosa che non verrà mai, come l’uomo, gli uomini che stanno alla finestra e aspettano qualcosa, persone o eventi, che non arriveranno mai. Una volta Buzzati, parlando della mia pittura, disse che ricordava “Aspettando Godot” di Samuel Beckett, uomini in attesa di qualcosa che non verrà mai. Forse lui pensava al suo “Il deserto dei Tartari”, ma in effetti io ho questa idea che l’uomo non può trovare qualcosa che sa che potrebbe esistere ma che è nascosto chissà dove. In fondo, se volessi fare una considerazione su questi personaggi, direi che propongono la figura di un uomo che vorrebbe aspettare e credere ma che ha smarrito la fede per credere; sopra tutto mi fa pensare a questo l’uomo alla finestra, aspetta qualcosa che sa che non verrà mai più.

Alberto Sughi , Roma 2009

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24 Marzo 2009: “Il "viaggio" dell'artista ”

Mi sembra che nei miei risultati migliori rimanga una presenza continuamente mediata da una cognizione e da un sentimento dell’esistenza in cui perde consistenza tutto il possibile artificio del racconto.

 

Io rappresento delle situazioni apparentemente normali in cui però un’aria misteriosa penetra e travolge ogni condizione di normalità.
Di conseguenza un uomo che fuma, o una donna sul letto, non sono più la rappresentazione di gesti o abitudini consuete ma diventano rappresentazioni enigmatiche, che tendono ad altro. Allora può accadere che il fondale non sia più soltanto il bar, la camera, la strada, ma il tempo, lo spazio, la morte.
Anche la pittura, a modo suo tenta di  misurarsi con ciò che continua a sfuggirgli.

 

Il quadro che ho sul cavalletto sembra di grande realismo. Poi se lo si guarda bene, ci si può accorgere che le figure sono isolate l’una dall’altra: l’immagine non rappresenta una scena, ma piuttosto  delle situazioni. E’ tutto vero e tutto falso. Io non posso illustrare niente: io fingo di raccontare, e in questa finzione ho la mia idea del mondo, la mia idea di sistemare le cose, non dipingo qualcosa che avviene ma penso sempre a qualcosa d’altro rispetto a quello che sembra rappresentare il soggetto dell’opera. (…) La pittura è il viaggio del pittore fino a che è nel suo studio, sul suo cavalletto. Poi se avrà energia, viaggerà con gli occhi di chi aggiunge e di chi toglie, di chi vede dei riferimenti a cui l’autore non aveva nemmeno pensato. In quel momento il “viaggio” non è più quello del pittore ma quello di chi guarda.

La nostra identità nasce dal confronto, a volte dallo scontro, con gli altri e si costruisce attraverso il processo formativo che ci offre la cultura intesa come conoscenza del mondo in cui siamo immersi: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo…le nostre curiosità intellettuali continuano a cercare una risposta a queste ricorrenti domande.Qualche volta da giovani, abbiamo creduto di avere individuato “l’anello che non tiene”.
Passati gli anni, molto si decanta; quello che un giorno ci era sembrato un percorso lineare e necessario oggi lo guardiamo con altri occhi; ma tutto ciò che siamo stati, o che abbiamo creduto di essere, che abbiamo amato o rifiutato, rimane al fondo di noi.

Ho sempre pensato tuttavia  che la pittura sia una specie di laboratorio per capire un artista anche al di là di ciò che lui stesso pensa di credere; ma potrebbe anche darsi che l’arte sia in grado di unire ciò che appare diviso.

Alberto Sughi , Roma 2009

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18 Dicembre 2008: “Pensieri fuori stagione ”

1

Sembra, ma forse è proprio così, che stia calando la nebbia. So dove sono, ma non vedo la strada per proseguire il mio cammino. Si, la pittura… ma non sarà solo l'abitudine che mi fa credere che abbia ancora qualcosa da suggerirmi? Potrei farne a meno se non fosse anche il mio sostentamento economico? Se fosse così la nebbia diventerebbe ancora più fitta. Se voglio continuare il mio viaggio devo muovermi piano , senza aspettare che torni il sereno.

2

Le cose vanno per conto loro e prendiamo coscienza di non poterne cambiare il corso. Si spera che qualcosa di imprevisto possa capitare, che non tutto sia perduto; ma come, dove, quando, non lo sappiamo. Verrà poi il giorno che non avremo più la costanza di “restare in attesa”.

3

Il tempo che se ne va lascia un vuoto riempito dai ricordi per chi li sa conservare. Il tempo che se ne va ci cala nel presente, tanto diverso rispetto a quando lo immaginavamo come il nostro futuro; al confronto i ricordi, anche i più tristi sono leggeri come sono i pensieri. Il tempo passa e cammina con i nostri passi affaticati.

4

Un tempo avevo la bilancia per conoscere il peso delle cose. E così ero in grado di rappresentare ciò che avveniva anche di spaventoso.Oggi più che mai avverto lo spavento, ma sono rimasto senza bilancia.

5

Penso al quadro che vorrei fare, ma non mi viene in mente niente. Mi sembra di non avere progetti; altre volte sono andato davanti a una tela bianca senza idee; cominciando a fare segni col carboncino, cancellare e buttare giù qualche colore, la pittura prendeva forma e pareva essere lei stessa a suggerirmi l'immagine a cui non avevo pensato. Sarà ancora così?

6

O forse chiesto alla pittura di fare luce su un possibile percorso? Forse c'è stato uno scambio fra il mestiere e la vita. Non ho fatto altro che seguire una specie di vocazione che mi ha fatto scegliere questo lavoro, difficile e affascinante. La pittura è diventata per me lo strumento decisivo per conoscermi e conoscere il mondo. Non mi sento di aggiungere altro.

Alberto Sughi , Roma 2008

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18 Settembre 2008: “La necessita' di ricostruire il senso del nostro lavoro ”

Malgrado sia proprio quello che ho anche fatto su Absolutearts in questi ultimi miei blogs, io preferirei non parlare dei quadri che ho fatto perché il significato che annetto alle cose che ho dipinto diventa poi diverso col tempo, negli occhi di chi lo guarda, nei pensieri di chi immagina qualche cosa che non aveva pensato il pittore, ma certo è legittimo questo modo di interpretare la pittura. Nonostante questo, visto che sto ricostruendo il senso del mio lavoro (un'operazione che forse concorderete con me abbastanza ragionevole per un'artista che molto presto compiera' 80 anni) in questo blog descrivero' come e quando (quasi vent'anni fa) diedi vita ad un gruppo di opere (qui riprodotte) che considero non solo significative per comprendere il mio lavoro, ma utili per capire come e da cosa un quadro nasca e come da questo altri poi quasi inaspettatamente prendano anche esistenza.

Nel 1992 o l'anno prima c'è la implosione della Unione Sovietica e la fine di una speranza, di una ideologia che aveva attraversato tutta la prima metà di questo secolo e una parte cospicua della seconda metà. Tanti uomini avevano creduto in questa ideologia, la prima grande rivoluzione socialista nel mondo; questa idea della rivoluzione era un luogo comune, una casa in cui si trovavano i pensieri e la giustizia e le idee, tutto ciò che una grande rivoluzione promette; noi però sappiamo purtroppo che tutte le rivoluzioni hanno il destino di essere tradite e, alla fine, gettano nello smarrimento, nella paura, nella lontananza da se stessi tutti gli uomini che ci avevano creduto. E allora ho immaginato un quadro con un rosso che può ricordare la bandiera rossa del socialismo dove ancora si intravede la stella, ma tutto è spezzato, tutto è distorto e, per fare questo quadro, ho guardato molto la pittura di De Kooning perché mi sembrava che attraverso quelle strutture così spezzate e continue si potesse parlare in maniera più profonda del significato di questa crisi. Un uomo in primo piano come una silhouette nera se ne va con una paio di valigie e il titolo qui è forse l'indicazione per capire il senso. Andare dove? Ho fatto subito dopo un altro quadro sempre di questo ciclo parlando ancora dello stesso problema: “Andare dove, addio alla casa rossa” che propone anche una scritta che attraversa la parte alta della casa, una scritta in caratteri quasi cirillici; anche qui un uomo con le valigie se ne va lasciando questa casa che forse è la casa delle sue speranze e dei suoi sogni. Poi il tema si è dilatato e non riguardava più la caduta, la implosione del comunismo, ma il destino dell'uomo; allora sono venuti subito dopo, o in qualche caso hanno preceduto questo stesso dipinto, dei quadri verdi con degli uomini nel paesaggio o che guardano da una terrazza e che sembrano perdersi nel contemplare, tutti intitolati -Andare dove-, quasi che l'uomo sia in una situazione critica, di passaggio e che cerchi la sua identità all'interno di un labirinto che qui è rappresentato dalla natura. Poteva questa essere una grande partita, qualcosa che si poneva davanti all'uomo moderno che egli in qualche modo doveva risolvere, ma, come, non lo si sapeva. Allora ho fatto un quadro grandissimo, di due metri per due e trentacinque, intitolato appunto “La partita”, più fantastico o meglio più misterioso, in cui ho preso a prestito da Cézanne la silhouette dei due giocatori di carte mentre nella parte destra un uomo guarda come volesse sapere come andrà a finire questa partita. E' un quadro rosso che, se non fossero così evidenti le silhouettes dei personaggi, si proporrebbe per via del fondo, come quasi astratto.”

Alberto Sughi , Roma 2008

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28 Aprile 2008: “Disegnare e Dipingere ”

Nell'ultimo blog parlai dei miei primissimi disegni, alcuni dei quali datano addirittura agli anni Quaranta (e per favore perdonatemi se non potei rispondere ad alcuni dei vostri commenti). Oggi in questo nostro sforzo comune, e piacevole, di rendere questo blog come un luogo dove ci si raccontano le impressioni sul nostro lavoro nello sforzo di capirlo anche meglio, diro' qualcosa ciraca un altro gruppo di disegni, questa volta uno molto recente. Si stratta di tre grandi disegni che terminai nel corso del 2007 e che se non sbaglio gia' portai sul blog di Absolutearts quando non erano ancora proprio terminati. Tuttavia questa e' la prima volta in cui parlero' di loro.

Dicevo che sono disegni di grande dimensione su tela rovesciata e preparata dal lato opposto, dunque segnati sulla parte grezza, non preparata della tela, questo perché si può segnare meglio col carbone e con la tempera, il segno; in questo modo il colore non scivola come sulla parte preparata e quindi c'è un modo diverso di cancellare, di fare, di lavorare; questa soluzione dà dei risultati che a mio avviso, per la mia ricerca, sembrano più giusti. Faccio anche fatica a chiamarli disegni anche se non ho trovato altro modo per connotarli, ma in effetti sono delle grandi immagini che equivalgono a delle immagini dipinte, e per forza espressiva e per tensione interna. In effetti ho sempre dichiarato che fra disegni e pittura trovo una grande connessione, non sono due momenti separati del mio fare tanto è vero che in tanti quadri vediamo segni di carbone, grafismi sotto e sopra il colore; ho sempre mischiato le due cose. Io credo che un pittore tenda alla espressione e si curi meno della tecnica attraverso la quale arriva alla espressione.

Ma torniamo ai disegni e partiamo dal n. 3. Nella guerra in Irak c'è stata una strage di civili a Mossul, io l'avevo in mente come forse tutti la avevano in mente, ma non ho voluto dipingere o disegnare quella strage precisa, anche se certo, come sottofondo emotivo, in questi quadri è presente quel senso del tempo tragico che stiamo conoscendo in quella guerra. E allora ho usato un insieme di corpi ammucchiati, massacrati e una donna con un bambino aggrappato che forse gli nasconde gli occhi perchè non veda; è diventato un quadro ricco di suggestione perchè la donna è disegnata quasi in modo classico, come un lontano ricordo del modo di schizzare dei nostri artisti del ‘500; il groviglio delle persone fan più pensare, forse mi sbaglio, a qualcosa che va da Goya fino a certi disegni o quadri sui campi di concentramento di Music.

Il disegno n. 2 è più schizzato ma non per questo meno forte nella espressività; c'è una donna che si difende da un uomo che le fa violenza in casa perché ci sono, nella parte sinistra della tela, due bambini che guardano stringendosi o coprendosi il volto; questo è molto indicativo del mio modo di cominciare un'opera e dato che penso che un quadro debba essere bello da quando si comincia fino a quando è finito, ho lasciato questo disegno proprio al primo stadio perché a me sembrava molto suggestivo, anche per lasciare una spia del mio modo di impostare la tela.

Il disegno n. 1, che è il più grande ed è stato fatto su tela non rovesciata ma su una tela bianca anche se è sempre un disegno, anche in questo caso ha il carattere di un'opera finita, non è insomma un disegno su cui si possa dipingere sopra. C'è un uomo crocefisso, una donna col bambino che se ne va, un uomo che chiede la carità, c'è un chiaroscuro potente, forte; è un'immagine molto suggestiva che tocca anche l'idea di dove siamo e forse indica anche come potremmo uscire da questa tragedia. C'è l'idea della verità, del Cristo, della mamma che protegge suo figlio, ci sono tutti gli elementi che, anche se qui appaiono come il culmine della tragedia, possono indicare il modo per uscirne.

Solo recentemente un mio caro amico, il critico d'arte professore Arturo Carlo Quintavalle, commentando su questo gruppo di disegni ha scritto che si nota un profondo continuo dialogo tra il mio lavoro e la tradizione della pittura. Debbo ammettere che questa osservazione e' forse vera anche per me, dal momento che io credo proprio che il dipingere sia come parlare con il passato dell'arte, o con il suo presente

Alberto Sughi , Roma 2008

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27 Settembre 2007: “Lo Studio ”

Lo studio d'un pittore assomiglia, alle volte, alla bottega di un artigiano dove arrivano amici e clienti per fare quattro chiacchiere e ci sono dei giorni che, per la verità, ne arrivano troppi e portano via tempo prezioso al lavoro. Questa mattina ho dovuto fare una pausa per prendere un caffe' con il mercante che è venuto da Firenze a trovarmi per palarmi di progetti di lavoro. E' ancora nel mio studio il mercante che arriva lo stampatore con la grande cartella delle prove di stampa che apre sul grande tavolo di legno in un'ala dello studio. Il campanello suona ancora. Vado io stesso alla porta e chiedo al fotografo di rimandare l'appuntamento al giorno dopo Mi scuso con i miei ospiti, ma devo tornare al mio lavoro, Ho già indossato il camice quando arrivano Sergio Z, e Renato Z. “ Scusa Alberto, siamo un po' in anticipo.” Li faccio sedere e chiamo la mia assistente. Per favore ,le dico, metti pur via i pennelli e togli la tela dal cavalletto..

Questi incontri ,con i vecchi amici con i quali mantengo un profondo rapporto che dura ormai da quasi tutta una vita , li trovo sempre interessanti e anche utili.

Alle volte le nostre conversazioni sono interminabili. “Alberto – comincia Sergio - la questione del "saper vedere", nata per l'arte con l'A maiuscola, non ha giovato granché alla sua comprensione. Non si è fatto che celebrare il già celebre e convenire sul già convenuto, senza possibilità d'interferenza, di aggiunte o sottrazioni significative. La sistemazione critica e il sistema museale hanno raggelato l'aspetto comunicativo in una realtà intangibile, sacrale, fatta di rarità esemplari, e via così. Era questo il destino dell'arte? E' solo il già "accaduto", per essa e intorno ad essa: nelle chiese, nei musei, nelle fondazioni, nelle raccolte private, nelle mostre? È solo la sua storia?”

Debbo ammettere che sono d'accordo con le riflessioni di questo amico e scrittore, le domande che fa sono le stesse che faccio a me stesso, ma sono anche convinto e gli dico che ormai ogni spiegazione sia inutile: “Nessuno Sergio è ancora pronto ad ascoltare, e lo stato delle cose rimane quello che è”

Renato ascolta camminando su e giu' per lo studio. Adesso si siede e mi chiede “Sai Alberto che cosa diceva Mallarmé del pessimismo? "L'incredulità non ha genio!"

“E Mallarmé aveva proprio ragione, Renato: il pessimismo può misurarsi solo con se stesso... non ha rivali, ed è incline alla rinuncia. Ma il mio è solo disincanto.”

Le nostre conversazioni dopo tutti questi anni hanno mantenuto la stessa passione.

Prima di partire Sergio mi chiede ancora se sono riluttante a separarmi da un quadro che non mi persuade del tutto. “Si – gli dico - cerco di lavorarci sopra, dargli quella luce che gli manca. E' difficile arrendersi, gettare via il lavoro che per giorni gli hai dedicato. Ti sembra di aver trovato la strada per salvarlo e continui a starci sopra, e più ci lavori meno sai distaccartene; e allora pensi che sarebbe stato meglio lasciarlo prima, quando hai sentito che qualcosa non funzionava. Ma ormai avevi scommesso con te stesso di portare in porto il tuo quadro. Sarebbe meglio dire la tua tela dato che, a causa dei continui interventi, di quello che c'era nella prima versione non è rimasto quasi niente. Il porto, alle volte, è troppo lontano: il quadro sta affondando, e tu con lui quando prendi lo sverniciatore e cancelli tutto.

Non è tuttavia solo tempo perduto. Il pittore, dentro quell'avventura sfortunata, ha adoperato tutte le risorse che il suo mestiere poteva offrirgli, ha cercato soluzioni inedite, ha pensato intensamente al mistero dell'espressione pittorica, ha condotto una spietata analisi critica del proprio lavoro, ha passato giorni di assoluta dedizione. E alla fine si è arreso.

Avrà distrutto il suo quadro, ma ha assistito a una lezione di pittura che ha saputo fare a se stesso.”Poi gli amici partono e lo studio diventa calmo un altra volta. Prima di uscire mi fermo un'ultima volta ad interrogarmi.Quanti quadri avro' lasciato sotto i quadri? Saranno stati tutti da ripudiare?

Mi e' certamente accaduto più di una volta, mi dico, e non posso sapere se ho sempre agito per il meglio. Non avendo più sotto gli occhi il dipinto scomparso, non ho più la possibilità del confronto. In genere il quadro scompare all'interno di modificazioni che si fanno sempre più fitte e che rappresentano il rapporto dialettico tra il momento del fare e quello in cui si analizza il dipinto. Sembra un filo che si dipana e fa confluire l'immagine scomparsa in quella che sembra averla sostituita. Si potrebbe allora dire che le versioni precedenti, le sinopie, alla fine raccontano la storia di un solo quadro.

Dopo tutte queste riflessioni, penso, la giornata nello studio adesso e' davvero finita. Il telefono invece suona. Un giornalista di un quotidiano Romano mi vuole fare qualche domanda sulla situazione dentro il Mercato dell'arte. Preferirei dirgli. Guardi la bottega e' gia' chiusa. Sono andati via tutti. Ma gli chiedo solo di provare di essere il breve perche' ero proprio sul punto di uscire.“Senza mercato, come si forma la quotazione di un artista? Chi media tra domanda e offerta? Qual è il ruolo della critica nell'orientare, anche concretamente, il nesso tra l'artista e il potenziale cliente? O è sufficiente un buon marketing? “La quotazione delle opere di un artista –provo a rispondere - è solo quella che si forma nel mercato e può salire o scendere come un qualsiasi titolo quotato in Borsa. Così come può accadere in Borsa, può succedere che anche nel mercato dell'arte, attraverso operazioni mirate, alcuni gruppi siano in grado di alterare le quotazioni. Il ruolo della critica tende ormai a fare coincidere il valore di un artista con il valore della sua quotazione mercantile.Esistono, per fortuna, artisti seriamente impegnati che, quasi ignorati dal mercato, trovano ugualmente estimatori e collezionisti; per una strana coincidenza questi artisti sono quasi ignorati anche dalla critica.”Dall'altra parte del telefono si sente solo un po' di silenzio. Ma le domande non sono ancora finite.

“Professore un'altra cosa. L'artista che per insofferenza, senso di libertà, o alterezza, si nega alla logica mercantile quale danno ne trarrà, o quale giovamento?”

“Se il suo valore si potesse misurare con il metro di una pura valutazione artistica non subirebbe alcun danno; ma siccome questo metro non si sa se sia ancora in commercio, e nemmeno se qualcuno continui a credere a quell'unità di misura, penso che quell'artista ne trarrebbe più danno che giovamento.”

“ Che opinione si e' lei fatto del rapporto coi "mercanti"?”

“Guardi mi perdoni. Ma e' davvero tardi. Debbo proprio chiudere.”

E gli dico che provero' di rispondere a questo un'altra volta”

 

Alberto Sughi , Roma

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14 Dicembre 2006: “Le riflessioni di un pittore ”

A) Sono diversi l’uno dall’altro i motivi che fanno scegliere a un giovane di misurarsi con la pittura ,oppure con la poesia o la musica . Il talento naturale per scrivere , quello di avere nell’orecchio la musica, o nella mani la facilità del disegno può aiutarti a intravedere un percorso; ma non è determinante per diventare un pittore, un poeta o un musicista . Il talento è uno strumento prezioso per chi ha qualcosa da dire ; è un dono naturale inutile, a volte dannoso quando non diventa espressione, ma solo virtuosismo. Non so se si possa affermare che disegnare o dipingere siano un tutt’uno; certamente, almeno a me, la loro connessione appare inscindibile.

B) Si sfogliano le pagine della storia della pittura; i modelli diventeranno poi quelli che, istintivamente, ti hanno maggiormente affascinato . Qualche segno di quell’innamoramento giovanile rimarrà sempre presente, magari nascosto tra le pieghe ,nella tua pittura.

C) L’essere solo se stessi, semmai questo possa essere possibile, non credo che possa nascere dalla consapevolezza di doverlo essere; è qualcosa che piuttosto ha a che fare con il desiderio di spingersi oltre, di conoscere, di sperimentare .

D) La nostra identità nasce dal confronto, alle volte scontro, con gli altri, e si costruisce attraverso il processo formativo che ci offre la cultura intesa come conoscenza del mondo in cui noi siamo immersi ; chi siamo , da dove veniamo , dove andiamo ... Le nostre curiosità intellettuali continuano a cercare una risposta a a questi ricorrenti interrogativi. Qualche volta, da giovani, abbiamo creduto di avere individuato “l’anello che non tiene” . Passati gli anni molto si decanta e quello che un giorno ci era sembrato un percorso lineare e necessario oggi lo guardiamo con un altri occhi; ma tutto ciò che siamo stati, o che abbiamo creduto di essere, che abbiamo amato o rifiutato rimane come una sedimentazione al fondo di noi.

E) Ho accennato nella riflessione precedente a quello che poteva apparire come un percorso coerente e lineare; in realtà conteneva, come quasi sempre avviene, molte contraddizioni . Contraddizioni che a ben pensare si portano dentro la maggior parte degli degli uomini . Nel caso di un pittore che mostra i suoi quadri al pubblico le antinomie tra il suo pensiero e la sua opera si possono notare con maggiore evidenza. Ho sempre pensato che la pittura sia una specie di carta di tornasole per capire un artista anche al di là di quello che lui stesso pensa di credere , ma potrebbe anche darsi anche che l’arte sia in grado di unire ciò che appare diviso.

F) La forte contrapposizione tra due ideologie (comuista e fascista) che si viveva negli anni del dopoguerra ha certamente influenzato la scelta di campo di alcune generazioni. Il mio lavoro ne porta tracce visibili da connotarlo come espressione di quello scontro? Non credo. Non sapendo vivere l’ideologia in modo ortodosso mi sono sempre preso tutte le libertà che la pittura pretende. Dapprincipio si stava insieme per le affinità che il nostro lavoro esprimeva ,poi arrivarono gruppi che si costituivano in “tendenze” redigendo anacronistici manifesti. Mi sono sempre sembrate solo delle trovate, rubate all’Avanguardia Storica, per acquistare visibilità. Data questa diffidenza, non ho voluto farne di farne parte Per un tempo che ha avuto una durata abbastanza lunga, la cultura militante di sinistra ha guardato con interesse il lavoro di quei pittori, entro i i quali per affinità ero considerato parte. Forse ne faceva una lettura distorta, a meno che non fosse una inconscia cattiva coscienza ad apprezzarne i risultati . E’ sicuro che quei quadri non volevano compiacere nessuno . ma piuttosto indicavano il malessere esistenziale dell’uomo (inteso come individuo), all’interno della società contemporanea

F-1) Arrangiarsi da soli non sembra mai tropo facile, ma che significato può avere oggi. trovare un maestro che ti guidi la mano se, per riuscire, dovrai poi dimenticarlo più in fretta possibile ? Nel1970 G. Colacicchi, allora rettore dell’Accademia di Firenze, mi offrì la cattedra di pittura all’Accademia. Ringraziai per la la stima che mi manifestava, ma cortesemente rifiutai. Sapevo di non avere da insegnare a nessun se non a me stesso. Se fosse per me le Accademie le chiuderei.

G) La critica militante….. E’ una storia che prende l’avvio da una contrapposizione anche forte, all’interno della stessa sinistra, tra i pittori che sceglievano l’astrattismo rispetto a quelli che rimanevano convinti del primato della pittura figurativa. Ritengo una distorsione ( che ha provocato fratture e danni all’arte italiana ) il fatto che ognuna delle due tendenze rivendicasse una sorta di primato e che il metodo per ottenerla assumesse i toni di una disputa che in veniva a segnare una specie di divisione nella cultura di sinistra. In questo dispute aveva un significato particolare, diverso da quello che si sono presi oggi, il ruolo dei critici d’arte. Si schierarono chi da una parte , chi dall’altra come militanti di una sorta di battaglia per appoggiare una delle due correnti (astrattismo - realismo ). Quasi per aumentare il danno, intervenne pesantemente in questa insensata e provinciale querelle il P.C.I. con il famoso scritto su Rinascita di Rodrigo ( pseudomino di Palmiro Togliatti) che senza mezzi termini appoggiava esplicitamente la corrente realista. Così un battaglia culturale, che poteva essere considerata anacronistica e provinciale, assunse il carattere di uno scontro politico pesante e insensato che ha continuato a pesare, in modo negativo, nella storia dell’arte contemporanea italiana.

H) Arte è una parola che ormai fa riferimento a tutto e di più perdendo via via il suo significato tradizionale. Il significato che tradizionalmente le abbiamo dato non può essere più lo stesso da quando,nel trascorrere del tempo, essa ha perduto la sua funzione originaria. Le aspettative e l’ angoscia dell’uomo moderno si rivolgono sopratutto alla scienza, alla religione, alla politica, forse anche alla filosofia, per trovare risposte o conforto. Ne consegue che l‘Arte gioca ormai un ruolo marginale. In altre parole ho l’impressione di vivere all’interno di un tempo che non ha bisogno che si produca Arte.

I) La mia pittura riflette il mio pensiero; direi addirittura che ne offre una immagine più profonda . Spesso si è detto o scritto che io rappresenterei il sentimento della solitudine; nessuno ha mai pensato che la mia pittura, cosi come prende forma nei miei quadri, possa rappresentare la solitudine , la lontananza dell’arte rispetto al mondo in cui siamo immersi?

M) Non ho mai pensato né prima né adesso di dovermi distaccare da me stesso ci si attrezza per sopravvivere su un’isola deserta, figuriamoci se non si può continuare a fare un lavoro che si ama anche quando i contorni del suo significato sembrano sfuocarsi.

Alberto Sughi , Roma

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28 Settembre 2006: “Una nuova tela bianca ”

Tuttavia mi sono seduto alla scrivania non per parlarvi del mio quadro, ma piuttosto per tornare sull’ argomento del mio Blog precedente : il caso del mio lavoro plagiato da un’artista giapponese a cui il ministro dell’educazione di quel paese ha prima assegnato e poi una volta scoperto il plagio tolto un ambito premio d’arte. (Per chi volesse saperne di piu’ questa link sotto, al titolo Controversies, e’ piu’ che esaustiva http://en.wikipedia.org/wiki/Alberto_Sughi)

Il mese scorso ho letto i vostri commenti con grande interesse e piacere.. Non tutti condividono lo stesso punto di vista: c’e’ chi ritiene opportuno fare in Giappone subito una mia mostra approfittando anche della grande eco che la vicenda ha avuto in quel paese ; c’e’ invece chi, ed è l’opinione che mi pare di condividere , preferirebbe aspettare che il caso Wada si affievolisca prima di pensare ad una eventuale mostra. Gli argomenti degli uni e degli altri sembrano ugualmente meritevoli di attenzione. Ho anche pensato che il quesito cosi’ come era stato formulato nel mio blog precedente fosse per qualche verso malposto. Il pittore dipinge, questo e’ il suo solo lavoro. Certamente ha il desiderio, forse anche il diritto, una volta terminato il lavoro di vedere i suoi quadri esposti nel modo e nella sede migliore. Ma non e’ lui che sceglie o decide le mostre. Questo non e’ nella sua competenza, forse nemmeno nella sua capacita’. E’ il pubblico, o meglio gli organi preposti, i musei, le gallerie, che propongono e allestiscono le grandi esposizioni . Al momento nessuna proposta tra le molte che mi sono arrivate per una mostra Giapponese mi e’ parsa interessante dal mio punto di vista : Mi sono apparse troppo interessate all’aspetto commerciale piuttosta che ad un vero interesse culturale . Il giorno che mi sarà offerto un progetto che io giudichero intteressante sarò felice di presentare al livello più alto il mo lavoro in Giappone.

Adesso che ho tolto il mio qadro dal cavalletto e l’ho appoggiato alla parete gli getto un occhiata, mi pare che sia riuscito bene.Domani metterò sul cavalletto una tela bianca e comincerò un quadro nuovo.

E’ questo il mio lavoro

 

Alberto Sughi , Roma

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5 Luglio 2006: “Da qualche parte, dietro”

Che in un’altra parte del mondo ci sia chi, copiando i tuoi quadri e firmandoli con il suo nome diventi nel proprio paese un pittore famoso e che la cosa vada avanti fino a quando il ministero della cultura di quella reputata nazione attraverso il parere di una commissioni di “esperti” gli assegni un importante Premio governativo è una cosa che ha dell’incredibile.

Bisogna proprio pensare che nella rete dell’ informazione globale ci siano dei buchi abbastanza grossi se possono passare dei pesci che non troverebbero varchi così grandi nemmeno il primo di Aprile.Fortuna ha voluto che alcune piccole imbarcazioni che si erano avventurate a navigare in rete hanno trovato i quadri che il pittore premiato copiava da un artista che viveva in tutt’altra parte del mondo; questa scoperta sconcertante li ha indotti a informare, attraverso fotocopie comparate, il ministero della cultura; così viene alla luce uno dei più impensati scandali della pittura moderna, o almeno un caso di plagio senza precedenti.

A questo punto mi sembra ormai giusto chiarire ai lettori che il paese in cui avvenuto questo scandalo è il Giappone che il pittore che ha plagiato i quadri si chiama Wada, che il ministero della cultura giapponese ha ri -tenuto che in effetti si trattava di plagio e gli ha revocato il premio e che, infine, il pittore copiato è un pittore italiano di nome Alberto Sughi che altri nonè che me stesso. Da quel giorno sono stato invaso da televisioni e giornalisti giapponesi che volevano saper quando come e perché.

“Conosceva Wada , sono copie o rielaborazioni , ha deciso di denunciarlo?.”

“ Si l’ho conosciuto come ho conosciuto tante altre persone che tuttavia non hanno plagiato i miei quadri; sono plagi veri e propri e il confronto tra queste fotografie lo dimostra; la denuncia e la condanna più irrevocabile l‘ha pronunciata il Ministero della cultura giapponese revocandogli con grande disonore, la prima volta nella storia del premio,l’ambita premiazione che gli era stata assegnata. Il mio sito internet e stato contattato da decine di migliaia di giapponesi e ho ricevuto molte mail che chiedavano scusa per la vergogna.

Nel contempo sono venuto a conoscenza che il Wada ha ricevuto altri importanti premi da musei privati a e che già ne 2004 c’era stata qualche segnalazione che parlava di plagio.Ho avuto l’occasione, in questi giorni di visionare una infinità di fotografie di quadri di Wada che ricopiano mie opere.

Ultimamente ho avutu proposte per grandi mostre in Giappone , io preferirei esporre quando questo grande scandalo si sia un po’ decantato. La mia pittura spero che meriti attenzione culturale e non una curiosità provocata da uno scandalo di queste proporzioni .Grandi Fondazioni culturali vorrebbero mettermi fretta profittando della popolarità che il mio nome ha conquistato in questo occasione in GiapponeVoi cosa ne pensate? I lettori dei blogs di Absolutearts quale consiglio vorrebbero darmi?

Alberto Sughi , Roma

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8 Marzo 2006, Quel che amo di piu' della pittura

Facciamo degli esempi qua e in la’.

Io credo che tutta la pittura informale americana abbia avuto un grande peso nella figurazione italiana; ho amato pittori come Rothko, come Rauschenberg; alle Biennali saltavo tutti i quadri e mi fermavo solo su alcuni per capirli bene, per capire le novità che mostravano. E’ fatica sezionare per correnti in una società come questa dove tutto è mischiato. Il critico d’arte Crispolti, quando ha fatto un testo su di me, ha parlato della derivazione informale; ne porto tutti i segni che non cancello, che sono in contraddizione coi particolari di dipinti più finiti che non hanno senso se non inseriti in un tessuto che li mette in gioco, in una trama che li cancella, li rende più vivaci. Per capire bene si deve capire quando un pittore ritiene finito un quadro. Ci sono quadri miei che potrebbero apparire opere non finite, come qualche cosa che non sono riuscito a completare, ci sono delle parti molto a fuoco, altre sfuocate, altre lasciate incerte e piene di segni. Può anche essere che non abbia potuto ricucire delle incongruenze dato che non sono in grado dal punto di vista fantastico di ricucirle e le lascio contrapposte fra di loro così, come tante cose della mia vita non sono stato in grado di renderle unitarie; lascio dei segni un poco spuri, sporchi; a volte raccontando come faccio a dipingere dico che dovrei cominciare dalla polvere che fa il carboncino, la fusaggine, gli stracci sporchi di colore, le mani imbrattate, una confusione che cerco di dominare e che, mentre dipingo, diventa sempre più forte intorno a me, fino ai tanti pennelli che non pulisco più. Mi accorgo che in un momento che uno può chiamare creativo, i pennelli sporchi da tre diventano 7, 10, vado avanti e mi fermo quando non so più che cosa aggiungere. Il quadro è finito quando il percorso non ha più possibilità di sbocchi. Questo cosa vuol dire: il quadro si è concluso quando si è concluso il viaggio che hai fatto dentro il quadro, il pittore ha finito quando il viaggio è finito. Il significato è una avventura stupenda, hai la idea di arrivare chissà dove anche se poi sai che, se tutto va bene, arrivi dalle tue parti. Io ho amato Ben Shahn, da ragazzo, poi ho scoperto altra pittura americana; ho amato di meno e non considero realista l’iperrealismo. C’è realismo in tanta pittura Pop americana, in Rothko ad esempio l’idea dello spazio, il rapporto straordinario con una parete che si conclude in fondo con una riga scura; Segal per me ha fatto delle cose troppo meccaniche, ha portato a la esasperazione una tendenza iperrealista e metafisica insieme, il calco, quel gesto quell’oggetto tolto dal suo contesto normale e formato in un calco per sempre somiglia di più a qualcosa alla Duchamp, anche se Segal passa per altra cosa, è legato di più a quella avanguardia. Io lo vedo come un caso a sé, una via di mezzo fra avanguardia storica e Metafisica, che ha trovato tanti mediocri imitatori in tutto il mondo. Tutto quello che per qualche verso non ha bisogno della pittura non so perché debba finire dentro la pittura, Hamilton è un pittore che ha trasparenze, spazi lontani, io vedo nel cinema possibilità sorprendenti; alcuni cineasti inglesi o irlandesi, hanno fatto cose impensabili, hanno fatto quasi una gara con la pittura impressionista, con la luce, il tempo la lunghezza infinita dello spazio, senza per questo sostituirsi alla pittura. Le pitture impressioniste non sono belle per la capacità di cogliere i colori e la luce, invece sono sempre torbidi di materia, hanno la consistenza della superficie della pittura. Per amare gli impressionisti invece di parlare sempre della scoperta della luce ci si dovrebbe ricordare molto di più del rapporto con Velazquez, ad esempio del paesaggio di Saragozza. Manet è più riconducibile a Velazquez ma tutti hanno questo problema. Se la pittura potesse pensare di rifare questa strada, accorgersi che la pittura è pittura, io mi appassiono e mi chiedo come faceva Velazquez a farlo; mi chiedo come teneva il pennello, come faceva: se la pittura non ha questa leggerezza che nasce dalle mani, non dalla testa, e io torno qui alla grande seduzione dell’artigianato, allora se non teniamo conto di questo la pittura la portiamo fuori, in zone diverse, la usiamo come provocazione. Se uno guardasse bene Caravaggio si accorgerebbe che è dipinto con niente, se lo vedi in fotografia e poi lo vedi da vicino ti accorgi che i movimenti che doveva compiere per dipingere erano certo molto più semplici e ricostruibili e naturali di quanto non appaia nell’insieme. La pittura è una cosa strana, se la fai diventare troppo mentale le togli al sua identità. La pittura non si esprime con quello che rappresenta, è una cosa che si fa; io ho sempre amato molto Caravaggio, ma non per fare Caravaggio, ma per capire i movimenti della sua pittura.

Alberto Sughi , Roma

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19 Luglio 2005, Alla ricerca d'una via d'uscita

10 luglio: ho dipinto su due tele già iniziate apportandovi delle modifiche sostanziali; l'una, che aveva come soggetto una donna dormiente in un interno con un mazzo di fiori, è diventata una giovane davanti alla vetrina di un bar; l'altra in cui era rappresentato un uomo che attraverso i vetri guarda una donna assorta ad un tavolo di caffè ha subito una radicale semplificazione acquistando complessità espressiva: ho tolto la figura della donna perché rimanga centrale e misteriosa l'immagine dell'uomo che guarda. Cosi' ho dipinto qualcosa di inquietante al di fuori di ogni racconto.

14 luglio: questa mattina ho ripreso a lavorare su questo quadro; dopo avere definito il volto e avere cercato di delineare meglio l'architettura di tutto l'insieme, ho deciso di smettere perché mi pareva di procedere in modo troppo mentale: cercavo di eseguire bene; non ero aiutato da quell'estro cosi' necessario per dare vita a un dipinto. Stava andando decisamente meglio col secondo quadro "1a donna davanti la vetrina del bar"; arrivavano soluzioni impreviste e piacevoli, mi stavo divertendo, sentivo di essere dentro l'avventura del dipingere.
Quando si sente di entrare in questa avventura bisogna saper prendere una grande distanza da tutto ciò che ti circonda. Non mi è stato possibile continuare quando è arrivato Millo a cui avevo dato appuntamento qualche giorno addietro. La sua visita mi avrebbe fatto certamente piacere se non avesse difatto determinato lo spegnimento del momento creativo.
Bisognerebbe, quando si è in un periodo di intenso lavoro, non dare appuntamenti nemmeno a persone che si vorrebbero vedere: capitano quasi sempre in un momento inopportuno.

15 luglio: adesso sono cinque i giorni passati a remare dentro questo quadro che sembra essere diventato un mare in burrasca: ed io, tra scoramento e fiducia, ho continuato a darmi da fare perché la barca non fosse travolta. Ho resistito oltre la speranza; quando tutto sembrava perduto il mare si è improvvisamente calmato; ed eccomi davanti a questa tela che forse ho salvato dal naufragio.
Passano velocemente i giorni e non riesco ad uscire da questo quadro. Mi sembra spesso di avere trovato la soluzione che cercavo; ho qualche momento di soddisfazione che purtroppo non dura molto tempo. Poi mi ritornano i dubbi e prendo la decisione di cancellare e rifare una parte che mi costringerà poi a mettere le mani anche su un'altra e cosi' via. Sono le nove di mattina, sono sceso nello studio da poco ed ho già dato un'occhiata al quadro in questione. Potrei lasciarlo per oggi almeno, e passare a dipingere un altro. Sarebbe una cosa saggia; ma può chi ha accettato da sempre di prendersi tutti i rischi della ricerca comportarsi saggiamente?

16 luglio:
Oggi è stata una giornata poco creativa. Forse sono stanco; sta di fatto che non ho combinato niente e sono costretto a rimandare ancora di un giorno la conclusione (almeno cosi' mi auguro) di questo benedetto quadro in cui si è andato ad arenare il lavoro per la mostra di Bolzano. Il tempo non si allunga e tutto quello che dedico a questa tela non l'avrò più quando mi servirà per gli altri quadri. Siccome mi sono reso conto che la realizzazione di questo dipinto è diventata la porta attraverso la quale devo per forza passare per proseguire il mio viaggio non mi resta che augurarmi di trovare al di là della porta, una strada che si possa percorrere più agevolmente. Altre volte è andata in questo modo... come se il travaglio di questa gestazione in cui si bruciano pensieri ed energie, in cui si alternano momenti di esaltazione ad altri di sconforto, lasci all'autore una inaspettata ricchezza.

17 Luglio. Oggi e’ tempo di riposare e riflettere sugli ultimi quadri.

Un quadro nasce da tutti quelli che hai dipinto in precedenza, da tutto quello che hai imparato dipingendo; ma soprattutto nasce dal desiderio di mettersi in viaggio, di trovare quello che continua a sfuggirti...Ma come ho anche scritto in altre occasioni, su questi blogs e altrove,ho l'impressione di galleggiare su un'onda che sembra portarmi verso la riva, per tornare poi verso il vortice dal quale posso essere risucchiato. Con questo stato d'animo è più facile raccogliere il carattere contraddittorio dell'esistenza che non acquisire l'occhio e la sistematicità dello storico. Forse ci stiamo smarrendo dentro un labirinto la cui uscita è sempre dall’altra parte rispetto a ogni punto in cui veniamo a trovarci. La pittura potrebbe rappresentare il dramma di un mondo che, intrappolato nel labirinto, cerca la via di uscita che non riesce a trovare. Forse anche questa è storia: quella del labirinto dove siamo finiti.

Alberto Sughi , Roma

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22 Giugno 2005, Lo Stato attuale dell'Arte

Contano ancora il talento , la forza espressiva , la ricerca solitaria, virtù che hanno sempre indicato la grandezza di un artista, quando si è deciso che non sono più di moda?

Se considero l’Italia sempre cosi’ profondamente diviso tra bianchi e neri o rossi e azzurri, mi

sorprende che si sia trovata una inaspettata convergenza nel campo dell’ arte: si sono messi fuori gioco tutti quegli artisti che non accettano di condurre la propria ricerca per conto terzi e che sopratutto non amano operare secondo regole troppo diffuse. Quando leggo i giornali che rappresentano opinioni e interessi contrapposti e ne confronto gli articoli, mi accorgo che dall’ economia alla guerra, dai problemi dello Stato sociale al libero mercato non ci sono punti di vista tra loro conciliabili ; bisogna arrivare alle pagine della cronaca per vedere sfumare le contrapposizioni e infine giungere alla pagina dedicata all’ Arte per vederle del tutto scomparire

Si dice che l’ Arte non può appartenere né agli uni né agli altri; essendo universale é di fatto un bene comune, che per interessi di parte non si può tirare per la giacca.

Meno male: finalmente un valore condiviso persino di più della bandiera e del concetto di patria. Sarà poi proprio cosi? A dire la verità dentro le belle parole si sono infiltrati i numeri , e cosi il valore dell’arte si declina solo sulle quantità che essi sono in grado di rilevare.

La stessa affermazione poi, secondo cui l’arte appartiene a tutti, esprime una semplificazione intrisa di retorica e ambiguità. L’opera d’arte, creazione solo del suo autore, appartiene a chi sa evocarla, riconoscerla e immaginarla: é viva e necessaria fino a quando produce dibattiti e riflessioni che aiutano gli uomini a confrontarsi con i propri e gli altrui convincimenti; diventa inutile e inerte quando, per riconoscerne il valore, ci si affida ai prezzi raggiunti nelle aste o, come in una sorta di auditel, al numero dei visitatori di una rassegna ben sponsorizzata.

In tempo di elezioni, e nel Bel Paese (cosi’ infatti noi continuiamo a chiamare questo nostro paese) l’elezioni sono molto ricorrenti, si rivendica la ” par condicio“ come sola condizione per mettere equamente a confronto le diverse opinioni , per offrire ai cittadini la possibilità di scegliere tra le varie proposte.

Ma nel settore delle arti figurative (oggi preferiamo, con un po’ di insensatezza, chiamarle visive) esiste ancora qualcuno, a livello istituzionale, che si faccia carico di pretendere pari opportunità per le diverse tendenze dell’arte contemporanea? Pare proprio di no. Ovunque mi pare, si propongono sempre gli stessi personaggi tanto da far sembrare il panorama artistico italiano poco più di un teatrino virtuale. (Ma sara’ poi cosi’ anche altrove? Vale a dire anche fuori dal mio paese?)

S è cominciato, prima a Napoli al museo di Capodimonte, poi a Roma alla Galleria Borghese, infine all’Accademia di Firenze ( in occasione della presentazione del David di Michelangelo restaurato), a esporre le opere dei nuovi maestri vicino ai capolavori del’arte antica. E non certamente per stimolare un impossibile confronto, ma piuttosto per certificare oltre ogni ragionevole dubbio, facendo diventare normativa una celebre e provocatoria teoria di Duchamp, il carattere incontrovertibile di opera d'arte a questi lavori.

( Duchamp teorizzo’ infatti che se si fosse appesa alle pareti di un museo una sedia questa avrebbe perso il suo significato di oggetto d'uso per diventare solo la forma di un'opera d'arte; tanta è la forza di omologazione del Museo! )

I funzionari ministeriali , gli assessori alla cultura, e tutti coloro che, in qualche modo sovrintendono al delicato incarico di promuovere e diffondere l'arte e la cultura non hanno certamente il dovere di essere degli esegeti ( spesso possono credere di amare l'arte senza avere la capacità di riconoscerla).

Il compito di chi ha responsabilità istituzionali dovrebbe essere principalmente quello di promuovere il confronto delle idee e delle tendenze, di sorvegliare affinché non sia penalizzato chi lavora in solitudine , di non fidarsi sempre di consiglieri astuti e conformisti che conoscono bene l'arte della seduzione e che hanno in tasca un metro ancora una volta pieno di numeri: quelli indicati dal mercato

Alberto Sughi , Roma

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9 Maggio 2005, La guerra non ha un suo colore

Di notte, in una stanza che li ripara dal vento e dalla pioggia, un uomo e una donna, si abbracciano teneramente.

In un’altra parte del mondo, mentre il sole si leva su un mare calmo e trasparente, un aereo irrompe con improvviso frastuono e raffiche di mitraglia disegnano zampilli di sabbia sulla spiaggia: la corsa di due soldati si arresta nella polvere e nel sangue. Il sole continua a splendere ignorando i disastri della guerra , la notte a scendere nel tempo della pace Non sono quindi l’ombra o la luce , il nero o il rosa a rappresentare la paura e la serenità. Cosi, in natura, non ci sono i colori della pace né quelli della guerra. E pur tuttavia il nero, il grigio plumbeo, il bianco sporco , i contrasti violenti della luce appaiono i più idonei a rappresentare la morte, la distruzione, il terrore, e tutto ciò che di sinistro procura la guerra. Ma non sono solo quelli i colori della guerra; sono pittosto riferimenti convenuti per rappresentarla. Ad Arezzo, nel grande ciclo di affreschi per la chiesa di S. Francesco, Piero della Francesca dipinge una terribile battaglia adoperando tutt’altra scala di colori : Ci sono lance che trafiggono corpi, teste di soldati morenti tra scorci di zampe di cavallo, eleganti armature e stendardi che sventolano in un cielo azzurro cobalto. Rimaneva fermo .nei suoi principi d’artista rinascimentale, l’antico maestro “colorare intendiamo dare i colori commo nelle cose se dimostrano, chiari et oscuri secondo che i lumi li devariano”:

Nella seconda metà del seicento invece i quadri di battaglie diventano un genere pittorico come una grande epopea con cavalli e cavalieri a combattere in un vortice di polvere tra alberi frondosi, sotto cieli screziati di nuvole dorate . Bisognerà arrivare “ ad Antoine Jean Gros ,al suo “Napoleone alla battaglia di Eylau” del 1808 perché la visione tradizionale venga sovvertita:” Per la prima volta un pittore della violenza non abbellisce, non trasforma in festa, in bellezza scenografica, il carnaio e la morte” ( A Masson) . Subito dopo“ La ritirata di Russia” , il terribile telero di Nicolas Toussant Charlet sintonizza in maniera irrevocabile il nero e il grigio alla rappresentazione guerra .

Poi arriva il cinema a suggerire , a indicare anche il colore psicologico ,tragico e insensato: “ All’ovest niente di nuovo “ di Milestone 1930. E oggi diventiamo spettatori attraverso la televisione, di un fondale verdino con ombre che si muovono in mezzo a squarci di bianco sul teleschermo ; sembrano sequenze di un video gioco; è invece la guerra in Iraq ai raggi infrarossi: la guerra più terribile, i bombardamenti della notte colorati in “verde veronese”.:

Infine ci sono , a confrontarsi con questa guerra , i colori delle nostre parole , i colori dei nostri convincimenti, quelli dei nostri sentimenti, delle nostre paure e delle nostre speranze e, insieme ,il colore aspro delle contrapposizioni che ogni guerra tende a rendere insanabili. Se non è mai facile distinguere la ragione dal torto, quando siamo dentro una guerra e al disordine che produce questa distinzione ci appare quasi impossibile. Il vero e il falso spesso si assomigliano molto e la differenza devono essere più piccole di quello che si crede se spesso è così facile contrabbandare il falso per vero. E tuttavia proprio in quella differenza di difficile percezione è racchiuso l’insanabile contrasto dei due termini. Ma sarà poi vero che le due espressioni siano sempre e solo contrapposte? Ho sentito più volte affermare:” Delle due l’una : o è così o è cosà” ; ciononostante ho sempre nutrito qualche sospetto per quello che si vuol fare apparire lapalissiano e continuo a pensare che il vero sia cosi nascosto sotto le apparenze che non sia molto facile farlo venire alla luce. Sarà solo la storia a svelarci il significato degli accadimenti , a farci capire cosa era nascosto sotto quello che credevamo di vedere? O anche la storia dovrà essere continuamente riscritta? O sarà invece l’arte , nutrita di ambiguità, di avventura e di arbitrio, in grado di rappresentare l’impensabile connessione tra il vero e il falso?

Alberto Sughi , Rome

studiosughi@albertosughi.com

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Blogs precedenti

2 April 2005, “The morning light”

20 Feb. 2005, Roman Fragments

05 Jan. 2005, Lost in a labyrinth

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ABSOLUTEARTS.COM, Blogs sull'Arte

ARTE.IT, Alberto Sughi: Blogs americani

Alberto Sughi , Rome

 

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