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Sulla Pittura, Intervista con Alberto Sughi (Parte VI)


 
Teatro d'Italia        
           
Parte I
         
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Parte III
         
         
         
Parte VI
         
Parte VII
         

Biagio Maraldi Per il ciclo della Cena hai parlato di "spersonalizzazione" e di cancellazione dei tuoi "segni", in primo luogo di quelli della tua cultura pittorica, perché la ritenevi inadeguata a cogliere "il nuovo atteggiamento che avveniva nel tuo animo e nella tua mente". È avvenuto qualcosa di simile anche per Teatro d'Italia, oppure in questo quadro la tua pittura si è venuta a collocare in una nuova fase, in un momento ulteriore nel cammino — che non conosce se non rari momenti di sosta — che un vero artista percorre nell'arco della sua carriera

Alberto Sughi Nel Teatro d’Italia non solo non ho cancellato i miei segni, ma per qualche verso li ho anzi seguiti passo a passo. I segni, gli interventi pittorici, spesso interferiscono e decidono delle stesse idee, prendono essi medesimi la consistenza delle idee. Ad esempio: la scelta di mettere la toga rossa al centro del dipinto, in basso, non è dovuta all'intenzione di indicare o di sottolineare un significato contenutistico; ma piuttosto alla necessità di rompere una troppo compatta zona di grigi e di neri che rendevano monotona la parte inferiore del quadro. Sono nel contempo convinto che questo metodo di procedere non escluda la possibilità di fare riferimenti alla realtà, e di analizzarne il carattere; è un metodo particolare, diverso, che ubbidisce a proprie regole di decodificazione, attraverso le quali si prende coscienza di ciò che si nasconde tra le pieghe dell'apparenza.

Se rispondesse soltanto alle ragioni della forma e della fantasia, l'immagine potrebbe risultare arbitraria; ma sono convinto che soltanto una ricerca corretta della struttura formale sappia cogliere della realtà quei significati che spesso non affiorano, o non vediamo, o non si lasciano cogliere. L'artista non conosce la realtà attraverso metodologie organizzate razionalmente; il pittore si confronta e si esprime attraverso quel mezzo particolare che è la forma; ed è unicamente grazie ad esso che riesce a illuminare aspetti della realtà che altrimenti rimarrebbero nell'ombra. Ritengo che questa consapevolezza, o coscienza, dovrebbe esser il punto centrale della problematica propria dell'arte moderna.

BM La domanda si potrebbe porre anche in questi termini: il realizzarsi di questa prima idea e il modificarsi in senso anche formale dell'invenzione iniziale, in quale rapporto vengono a trovarsi (diciamolo pure con una formula ormai usurata, ma efficace a significare alla svelta una situazione di poetica) dal punto di vista della forma e del contenuto? Come riesci a raggiungere la pienezza della soddisfazione artistica? L'esito conclusivo qual è?

AS A costo di semplificare direi che l'unica cosa su cui un pittore può contare (come una bussola per orientarsi) è quella di confidare nella sua capacità di fare pittura, cioè nella sua qualità, o meglio nella sua peculiarità di pittore.

Fare pittura significa anzitutto immaginare spazi, delineare forme, ordinare rapporti, strutturare, equilibri, stendere colori, ottenere luci, e così via. Il pittore deve fidarsi di questa attitudine, e di questi strumenti, così come in altre discipline ci si serve di altri metodi per studiare questo o quel fenomeno. La pittura non è qualcosa di separato, dal principio e dal tutto, da ciò che gli uomini possiedono per decifrare l'esistente e spingersi oltre i confini del conosciuto. Una cosa su cui fare affidamento, a costo anche di contraddire radicate convinzioni, è quella di interpretare le ragioni della pittura consegnandosi con coerenza, lucidamente, senza liturgie, a queste ragioni.

Non è facile accettare questa regola, perché ci spoglia di molte difese.

Il pittore, davanti al proprio lavoro, deve come ritrarsi: sapendo intendere quello che la pittura ha da offrirgli. In quel momento abbastanza magico si saldano, se si saldano, forma e contenuto.

BM Risulta chiaro, così, anche quello che dicesti una volta "che l'arte la politica pretendono tempi di riflessione molto sfalsati e mandano messaggi diversi": per te "la politica" resta in un ambito suo particolare e l'arte si realizza in forma autonoma e in piena libertà intellettuale e ideologica.

AS Spesso, dipingendo, mi sono allontanato da alcune convinzioni acquisite attraverso un giudizio, o un consenso, politici.

Quando si dipinge, esigenze, persuasioni e abbandoni culturali contano meno di quanto non si creda; e ciò vale , ovviamente, anche per l'ideologia.

Fare pittura è anche un modo per verificare criticamente la validità dei nostri pensieri: quante opinioni che ci apparivano ben salde e importanti finiscono per rivelarsi deboli, se non inutili. La pittura è una espressione che non può dare voce a ciò che le è estraneo.

 

BM Questo è il principio nel quale credi, e questa è la base sulla quale fondi la tua arte. Non ti pare, però, (e la domanda vuole essere un poco provocatoria), che nel Teatro d’Italia ci siano riferimenti specifici al tempo nel quale tu artista vivi ben individuate situazioni storiche e culturali?

AS Sì, c'è un riferimento esplicito alla società in cui viviamo, addirittura all'Italia di questi anni. Ma torno a dire di non avere usato schemi mutuati dalla politica, o da altro. Dipingere questo quadro è stato un modo per conoscere la realtà in cui siamo immersi attraverso l'analisi del linguaggio figurativo.

 

BM Vorresti dunque affermare che il Teatro d’Italia non contiene intenzioni di denuncia morale e di protesta politica pregiudiziali; ma che questa rappresentazione della vita contemporanea discende da un modo di sentire e di interpretare la realtà che è tuo, di te come individuo...

AS Ciò che dipingo non da conto d'altro che della mia immaginazione; ma può anche darsi che riveli il mio atteggiamento rispetto ai problemi della nostra vita. Questa è la ragione per cui parlo spesso di testimonianza, piuttosto che di denuncia o altro, a proposito del dipingere. Questa testimonianza potrà essere raccolta, se ritenuta interessante, o lasciata cadere.

Il fine dell'arte non è quello di propagandare delle idee, o di mandare messaggi; essa esprime tutt'al più un confronto con la realtà, ne ricava letture traverse, più vere del vero, rese attendibili dal "prodigio" della trascrizione.

 

BM // Teatro d’Italia ha una sua unità inscindibile e un significato preciso sia nella struttura sia nella forma. È però anche una metafora, una allegoria . La somiglianza fisica con personaggi della realtà storica vogliono solo essere un punto di riferimento per la raffigurazione del potere nelle sue molteplici incarnazioni…

AS …partiamo pure dal problema che pone la piena riconoscibilità di Gianni De Michelis, (ma potremmo parlare anche di quella di Gianni Agnelli). De Michelis non è stato raffigurato nel quadro perché lo si volesse rappresentare oggettivamente. Nel momento in cui prende forma nel dipinto diventa un personaggio che fa parte di una raffigurazione estranea alla sua identità di politico, di ministro e persino di uomo. Nel quadro rappresenta solo qualcosa che fa parte del mio immaginario, che va a intersecarsi fra la realtà e il mio mondo fantastico. Diventa un segno, si potrebbe dire, di una mia "fiction".

Immaginiamo che un regista voglia assegnare a un uomo politico una parte di attore in un suo film: ci sarà certo una ragione per cui vuole, nel suo film, la faccia di quel ministro. Ma non è affatto detto che il ministro debba rappresentare solo se stesso, la sua storia pubblica o privata. Quel che serve è la riconoscibilità di un segno, la sua valenza unicamente suggestiva.


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