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Alberto Sughi

Presentazione in catalogo alla mostra di Ottone Rosai
(Cesena, Galleria Il Portico, 1967)

Un giorno del 1943 ci capitò fra le mani una piccola monografia della Hoepli: Ottone Rosai. lo e Cappelli andavamo a caccia di libri d'arte e cataloghi di mostre; ogni nuova scoperta faceva nascere calorose discussioni. Si cercava, attraverso le piccole illustrazioni in bianco e nero, di aprirsi un sentiero in quella prima esplorazione dell'arte contemporanea.
Prendevamo tutto minuziosamente in esame e la fresca passione ci portava a fare un tifo vero e proprio per i nostri pittori.
Era il tempo in cui ci si esaltava per quello che i giornali raccontavano dei corridori ciclisti, o per i piloti della Mille miglia che, una notte di Maggio, aspettavamo sui bordi della strada con un foglio e una matita in mano per cronometrare i passaggi. Ricordo sempre la suggestione di certi nomi: Varzi, Biondetti, Nuvolari, Pintacuda... Allo stesso modo ci suonavano dentro quelli dei pittori; semmai pieni di un fascino più magico, di un mistero più grande. Carrà, Morandi, Sironi sembravano nomi scolpiti nel sasso.
Avevamo appena gettato, impacciati, le prime occhiate sul lavoro degli artisti moderni che già ne eravamo conquistati. Quel piccolo libro ci sconvolse; quella trentina di illustrazioni accelerarono il battito del nostro cuore come se d'improvviso le cose che ci stavano attorno si componessero tanto da sembrare quadri di Rosai, come se gli uomini incontrati per strada o seduti dentro le osterie di Porta Santi fossero i personaggi di Rosai. I nostri disegni diventarono subito Rosaiani.
Mi sono chiesto, a distanza di anni, il significato di quella adesione spontanea e irresistibile. Come poteva accadere che quelle immagini, quelle inconfondibili figurazioni, apparissero tanto suggestive a due ragazzi che iniziavano allora il difficile cammino di pittori in Romagna, in quella Cesena che aveva in Baggioli, Malmerendi e Severi la sua rappresentanza artistica?
E' vero che noi eravamo già allora "dissidenti"; che la nostra curiosità ci aveva portato a guardare altrove; ma è un fatto che il maestro moderno più formativo della nostra prima giovinezza sia stato proprio Ottone Rosai, come subito dopo sarà Lorenzo Viani che, per la verità, leggevamo quasi nella stessa chiave. (Credo, a questo proposito, che tornerebbe ancora utile un discorso comparativo sui due Maestri toscani). Le ragioni c'erano e abbastanza evidenti. E' di quella razza di artisti Rosai in cui l'interesse per il mondo, per l'uomo e la sua condizione, prepotente dal suo mondo pittorico.

Della sua pittura non è sufficiente ammirare il magistero formale però questo è usato per raccontare, per confessare, per sperare o soffrire.

Alberto Sughi Presentazione in catalogo alla mostra di Ottone Rosai
(Cesena, Galleria Il Portico, 1967)



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