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Alberto Sughi,

da una conversazione con Ennio Cavalli

in Dei paesi tuoi (Maggioli editore, 1984)

 

Io non so bene se sia più rassicurante il luogo che abbiamo lasciato o quello in cui stiamo per arrivare. Il momento più bello di un viaggio è a metà strada, quando si e' lontani da tutto. Non ho fatto la scelta di tornare spinto dalla nostalgia o alla ricerca di situazion confortanti. Sono convinto, al contrario, che attraverso un processo di malessere si possa entrare nel cuore delle cose. Forse si presentava l'ultima occasione per seguirun percorso che pretende una certa dose di energia e ancora un po' di giovinezza.
... Roma esprime per intero le contraddizioni del Paese, cio' che di non risolto, caotico, degradato e inquieto segna questo tempo. E' diventato molto difficile viverci. Ma e' cosi' antica e piena di doppifondi che finisce per assimilare e confondere tutto. Resta un fascino ed esercita un'attrazione che niente sembra potere cancellare.
Alle volte penso che un frammento di quella Roma sbriciolata e corrosa potrebbe anche entrare in un mio quadro. Non so come. Ogni tanto faccio delle fotografie che poi dimentico di sviluppare. La macchina fotografica è una spia quando l'adopero; non ne utilizzo quasi mai i risultati. E' molto meglio il ricordo, che seleziona le immagini.
Il disordine tocca anche i rapporti umani. Spesso ti accorgi che il desiderio di stare insieme nasconde un interesse, quasi che anche l'amicizia debba servire per chissà quali scalate. Allora capita che non mi muovo dallo studio. Col mio lavoro immagino un possibile rapporto col mondo.
Una canzone nuova entra nell'orecchio dopo che l'hai ascoltata più volte. Lo stesso succede in pittura: a una tematica, a un autore bisogna fare l'occhio. Molta gente poi crede di amare l'arte più di quanto sia in grado di riconoscerla. E' molto probabile che se i miei personaggi e il senso delle loro attese non fossero circolati su libri, riviste e giornali, non sarebbe scoccata la scintilla. C'è la tendenza, umana e naturale, e tuttavia insidiosa la sua parte di dare più importanza a ciò che è consacrato.
Quando cominciarono a farmi credito? Ai tempi in cui non ne avevo, tutti bussavano a pronta cassa. Quando cominciai a vedere i primi soldi, non volevano più farsi pagare: "C' è tempo, professore, non abbia fretta, avremo pur occasione di servirla ancora".
Abitavo in campagna. Avevo il paesaggio fuori dalla finestra. Ma era misterioso, enigmatico. Una bellezza estranea, temporalesca, quasi minacciosa. Quella serie di opere culminò nel quadro forse più suggestivo, largo due metri, rimasto a Carpineta. Rappresenta un uomo in carrozzella che guarda lontano; spiato da un cane, oltre il gran verde di alberi e siepi. E' la paralisi nel rapporto con le cose, la fissità che estingue l'ansia di capire.




Alberto Sughi,

da una conversazione con Ennio Cavalli

in Dei paesi tuoi (Maggioli editore, 1984)



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