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Guido Santato

L'uomo e la sua ombra: la pittura di Alberto Sughi


Tra gli artisti della generazione seguita a Guttuso, Sughi e’ probabilmente il pittore che ha condotto con maggiore tenacia e coerenza la propria indagine sul tema dell'incomunicabilita, del negativo. La «tenebrosita» della pittura di Sughi e’ assai prima interiore che cromatica: e la traduzione nella simbologia pittorica di quella dimensione ossessiva e nascosta che Freud chiamava il Perturbante, e Jung l'Ombra. La realta interiore — si sa — non e’ meno reale, incombente e minacciosa di quella esteriore. Anche la rappresentazione realistica ha le sue muse inquietanti. Lo specchio oscuro di Sughi ci restituisce il riflesso di questo rapporto, di questa spietata osservazione della realta. Il particolare realismo di Sughi si presenta infatti sin dagli anni '50 come un realismo essenzialmente interiore, che si svolge soprattutto nelle forme dell'introspezione esistenziale, per giungere infine al realismo «metafisico» della produzione piu’ recente.

Le stesse consonanze che si palesano nel corso di questo itinerario (Guttuso, Picasso, Bacon) vengono inserite da Sughi in uno studio dei rapporti lucecolore ed in una elaborazione tematica (l'antropologia contemporanea e la sua rappresentazione in negativo) che sono interamente ed originalmente suoi. Nello svolgimento di questa esperienza si possono riconoscere due punti di riferimento costanti: da un lato il realismo francese dell'Ottocento (Daumier, Degas, Courbet), importante soprattuto nel disegno, dall'altro la passione seicentesca e caravaggesca di Sughi, la sua «tenebrosita», lo studio dei contrasti di luce (studio che lo conduce verso i grandi modelli di Rembrandt e Goya).

Nei quadri di Sughi i colori, fortemente opacizzati con il grigio piombo, sono sempre composti su tonalita livide. Un'ombra pesante cala sulle figure. Piu’ che illuminare, la luce colpisce, ferisce le figure e i volti conferendo loro un aspetto sinistro, a volte mostruoso.

In principio era l'uomo — si potrebbe dire per Sughi — e l'uomo era presso l'ombra. Quella dell'uomo diviene una figura enigmatica, anonima, colta sullo sfondo scuro della sua solitudine: una solitudine tanto piu’ emblematica ed inquietante quanto piu’ su quello sfondo scorrono le immagini della vita di ogni giorno, della storia contemporanea. La scena della solitudine individuale diviene ancora una volta la rappresentazione interiorizzata, lo specchio segreto di una condizione storica collettiva. Sughi e’ uno spietato ritrattista di tipi umani: al centro della sua pittura si colloca costantemente la figura dell'uomo, rappresentata con un realismo insieme esistenziale e storico. La pittura diviene un modo di conoscere, scandisce un'ininterrotta meditazione sull'uomo.

Il mondo che Sughi assume a oggetto della rappresentazione e dapprima costituito dall'umanita della strada e dei locali pubblici: figure di passanti, uomini seduti al bar, spettatori affondati nel buio della sala cinematografica. Immagini scure emergono con daumieriani controluce dai fondi colorati. Le figure appaiono avvolte nel fumo, isolate in interni tenebrosi e nell'opacita della notte. Talvolta sembrano delinearsi solo attraverso la luce: i colori sono quasi scomparsi. Piu’ che prendere forma da una divisione del quadro in zone di luce e d'ombra, le immagini sembrano emergere da una sorta di notturno continuo, da un'oscurita metafisica (Nel tunnel, 1958) eppure realisticamente palpabile a volte nella violenza con cui certi colori, ad esempio il rosso, affiorano dai fondi scuri. l'ombra viene lacerata o forata, piu’ che illuminata dai bagliori di una luce livida, biancastra, che illumina crudamente i volti e gli interni delle stanze. Lucus a non lucendo, si potrebbe veramente dire. il nero e’ il colore, o il non colore di Sughi: il colore della malinconia, del temperamento saturnino, ma anche di una percezionerappresentazione del negativo inteso come immagine rimossa della realta, come altra realta. La pittura di Sughi e sempre tesa a cogliere questa realta negativa, rimossa dai gioco dell'apparenza («il reale e’ quello che vede la maggioranza», suona significativamente la citazione borgesiana posta in apertura del librocatalogo Immaginazione e memoria della famiglia). i colori di Sughi sembrano impastati nel nerofumo: opachi, bruniti, pastosi, con prevalenza delle tinte grigie, ocra, violacee. L'opacita del colore e’ anche in funzione dei contrasti di luce, che spesso dividono nettamente i volti in due parti. i contrasti di luce rappresentano la specifica cifra drammaturgica della pittura di Sughi. La luce non e’ mai a pieno campo, avvolgente; spesso non e’ neppure una luce caravaggesca che taglia nettamente il quadro in due zone, provenendo da una precisa fonte esterna. La luce di Sughi e’ una luceferita, un bagliore emergente dai fondo, che colpisce di riflesso il volto del personaggio: e’ una funzione simbolica della rappresentazione utilizzata per trasformare i volti in maschere sinistre.

La scena della rappresentazione tende ben presto a spostarsi e a restringersi negli interni: compaiono figure rinchiuse nello spazio ossessivo di una stanzacarcere, o riflesse in uno specchio deformante. La pittura di Sughi si profila gia’a questo punto come una pittura di situazioni psicologiche. Il realismo dei ritratti rivela, proprio nella violenza visiva, la sua natura eminentemente simbolica: quei volti allucinati, deformi o mostruosamente anonimi sono in realta figurazioni di un paesaggio interiore, proiezioni di un incubo. La solitudine di questi personaggi e insieme realistica e metafisica. Sughi conduce un'indagine accanita sull'uomo contemporaneo, sul suo malessere esistenziale, tanto piu’ evidente quanto piu’ si affollano intorno a lui i simboli del benessere. Questa indagine si viene progressivamente concentrando intorno a due temi figurativi ricorrenti, autentiche metafore ossessive che presiedono all'immaginario dell'autore: l'uomo solo e’ l'uomo di potere. Lo studio di questi due tipi umani si svolge costante, serrato, attraverso l'intera esperienza pittorica di Sughi. La figura umana e’ rappresentata in situazioni e atteggiamenti che rivelano una condizione di solitudine esibita in tutta la sua miseria e degradazione. I volti tendono ad assumere forme oscuramente spettrali, quasi animalesche (La coppia, 1960; Fumatore, 1963; Gli amanti, 1965; Uomo allo specchio, 1968) o si contorcono in un riso che diviene un ghigno piu’ ferino che umano (Uomo che ride, 1962 e 1964). Il rapporto tra questa pittura di Sughi e la tecnica della deformazione baconiana inizia a manifestarsi alia fine degli anni '50 — dopo un primo periodo che aveva gia’evidenziato il particolare realismo esistenziale di Sughi — trovando riscontro in una fitta serie di opere (Uomini al bar, 1959; Al bar, 1960; L'uomo solo, 1962; Ritratto d'uomo, 1962; Ilpittore nello studio, 1963; Dentro la malattia, 1964; Donna distesa sul letto sfatto, 1964; Gli amanti e L'uomo allo specchio gia’ricordati; L'uomo con i gatti, 1966; Uomini in un interno, 1967; Mosca cieca, 1969). Le figure sono spesso collocate all'interno di un campo scuro e vuoto che le isola e quasi le rimpicciolisce, oppure racchiuse tra spalliere metalliche e ringhiere lucenti (tipico schema baconiano). Rivolto ad una critica serrata della societa dei consumi e del suo feticismo, questo modulo figurativo approdera all'immagine allegorica della nuda solitudine dell'uomo circondato dagli oggetti (Uomo solo con la sua roba, 1967; Uomo tra gli oggetti, 1967; La stanza abbandonata, 1967; // possesso delle cose, 1968). Intorno all'uomomanichino nudo, seduto sulla poltrona, ruotano vorticosamente gli oggetti. Sughi macera, corrompe la carne e i volti strisciando su di essi il colore: si applica a sfregiare l' immagine che dipinge, ricavando con il gioco di ombre e di luci effetti ora grotteschi ora drammatici. Va precisato peraltro che il rapporto di Sughi con Bacon e’ un rapporto molto particolare. La pittura di Bacon non rappresentd certamente per Sughi un modello: gli offri pero’ un importante conferma sulla possibility, anzi sulla necessita di nuove sintesi figurative fondate sul recupero’ dell'inconscio. La «funzione Bacon» operante in diversi pittori italiani negli anni '60 (si pensi a Ferroni, Francese, ed anche a Vespignani) signified soprattutto un bisogno di reazione ai vincoli del realismo esteriore, un ritorno in interiore hominis, con la conseguente ricerca di modelli figurativi capaci di rappresentare lo smarrimento dell 'uomo davanti alia violenza. Sughi appare certamente interessato ai risultati espressivi della tecnica baconiana: a differenza di Bacon, pero’, le sue immagini tendono quasi sempre a conservare la forma umana (anche attraverso la finezza del disegno, qualita peculiare della pittura di Sughi). Le figure di Sughi non hanno mai il feroce espressionismo dei quadri di Bacon. Si puo inoltre notare, anche nella produzione di questo periodo, una persistenza della figura, del ritratto {Ritratto nella stanza, 1967) che condurra nelle opere successive al definitivo superamento del modello baconiano.

Con il quadro Rappresentare VItalia (1961) e soprattutto con il trittico L'ora storica (1964) si rivela e l'interesse di Sughi per un tipo umano che trovera importanti sviluppi, acquistando un posto centrale nella sua antropologia figurativa: l'uomo del potere, individuato come termine estremo di una degradazione in atto, e insieme percepito come immagine emergente da una sorta di incubo. Con La classe dirigente (1965) il modello satirico del ventre legislativo daumieriano viene passato attraverso il vetro deformante baconiano. veli o brandelli di colore (con prevalenza delle tonalita brune e biancastre) oscurano e sfigurano i volti trasformandoli in maschere mostruosamente anonime. E' una kafkiana galleria di uomini senza volto. L'immagine dell’uomo di potere si viene installando all'interno della pittura di Sughi come un'autentica metafora ossessiva: vi e’ una forma di angoscia, di paura all'origine dell'accanimento con cui Sughi sfigura quei volti. Sughi dipinge la sua paura del potere aggredendolo sulla tela, raffigurandone la cinica commedia in uno scenario dove compaiono insieme burattinai e burattini; il Teatro d'ltalia sara l'esito estremo di questo psicodramma esorcistico. La rappresentazione dell'uomo che ricorre nel successivo «periodo verde» di Sughi e nei paesaggi romagnoli prosegue, nonostante l'ambientazione apparentemente idillica, la precedente ricerca sul tema della solitudine esistenziale. L'uomo e’ presentato in atteggiamento di cane (Giardino all'italiana, 1971; / giochi in giardino, 1973) o come un paralitico incapace di un vero inserimento nell'ambiente naturale (All'ombra del cespuglio, 1971; Uomo seduto nel verde, 1972). La rivisitazione memoriale dei luoghi della giovinezza si traduce in una forte accentuazione del carattere simbolico, evocativo, metafisico del paesaggio: Cipresso abbattuto, 1970; La collina, 1970; Paesaggio di Romagna, 1972; Scalinata sul mare, 1972; Villa sull'Adriatico, 1973; L'isola, 1973, con questo titolo compaiono due quadri diversi. Questa traduzione paesaggistica di un'archeologia della memoria sembra riecheggiare una certa linea Boecklin-De Chirico, spogliata pero’ di ogni elemento mitologico e classicistico.

La messa in scena del mondo del potere rappresentato in tutti i suoi gradi, dalla borghesia arricchita alia ristretta cerchia della classe dirigente, giunge a risultati di straordinario vigore figurativo nel ciclo La cena (1976). Il rito borghese della cena in piedi diviene allegoria dello status dei nuovi ricchi e della loro quotidiana abbuffata all'ombra del potere. La raffigurazione grottesca del mondo della borghesia elegante e vorace si appunta particolarmente sui volti dei personaggi: visi deformati, guance mostruosamente rigonfie nell'atto dell'inghiottire e del masticare, secondo una corrispondenza simbolica e realistica insieme tra deformita fisica e morale. Nel quadro La cena, mangiano le figure in piedi emergono da uno sfondo che appare diviso, con nette geometrie, in due zone di colore: il grigio azzurrognolo, livido della parete ed il marrone bruno della moquette; in mezzo, il violetto del divano. Nella successiva Vestizione compaiono volti che, nella squadratura delle linee, dei contorni e dei volumi possono ricordare certe durezze plastiche del Picasso «romano» dei primi anni '20. Il collo della pelliccia sembra un anello di gomma o di plastica, le imboccature delle maniche sembrano buchi neri che fanno risaltare il biancore freddo, quasi esangue delle braccia della signora (la freddezza dei colori e’ in questo quadro il corrispettivo cromatico della durezza del disegno). Uno dei dipinti della Cena e’ stato scelto significativamente da Ettore Scola come manifesto del film La Terrazza, commedia satirica che mette in scena proprio la rappresentazione di una cena in piedi. Nell'ambito cinematografico il ciclo della Cena trova possibili riferimenti figurativi nel Satyricon e in Roma di Fellini, oltre che nella Grande abbuffata di Ferreri (l'interesse di Sughi per il cinema, d'altronde, e largamente testimoniato sin dalla sua prima produzione pittorica). Con particolare evidenza emerge, nelle tele della Cena, quella sintesi di pittura e disegno, quel disegnare con il colore che caratterizza l'intera esperienza figurativa di Sughi. Il successivo ciclo La famiglia (1981) segna un ulteriore, importante momento nell'itinerario della pittura di Sughi e conduce all'interno di un mondo figurativo, di una dimensione umana e temporale completamente diversi da quelli sino ad allora rappresentati. Con una fondamentale regressione della memoria poetica e figurativa Sughi «ritorna» ad un tempo remoto, celebrando la liturgia di un mondo contadino arcaico e della sua religione dei sentimenti. Nei quadri di questo ciclo (il cui titolo completo suona Immaginazione e memoria della famiglia) Sughi da sostanza d'immagine ad una memoria perduta: ripropone le immagini primordiali della vita, fa opera di memoria, ma non sotto la spinta della nostalgia, bensi «per restituire qualcosa al tempo presente». A seguito di questa regressione, storicoantropologica non meno che memoriale, la rappresentazione degli interni muta radicalmente. Non piu’ salotti borghesi dove deformi umanoidi si stagliano in spazi vuoti, su pareti dai colori lividi, ma gli umili interni della casa contadina, tra pareti domestiche che racchiudono scene di vita familiare: di teneri amori o di lutto, ma comunque di vita. La tematica erotica viene rappresentata con un realismo lirico non privo di ombre e di inquietudini: dalla scoperta del sesso da parte della bimba agli amplessi coniugali nella camera dove un bambino dorme in un angolo (ma dorme?) fino all'esplicita rappresentazione di una freudiana scena primaria spiata dal bambino stesso. Per dipingere questi interni Sughi adotta impasti e gamme di colori completamente diversi rispetto alle opere precedenti. Viene annullato, o ridotto il contrasto cromatico tra le figure e le pareti di fondo (contrasti che erano netti, e a volte violenti invece nell'acceso colorismo e nel disegno marcato della Cena): dominano le diverse gradazioni tonali nelle gamme dei colori bruni e ocra, cosi come sono accuratamente graduati e smorzati i passaggi tra le zone di luce e d'ombra. Gli oggetti che appaiono in queste domestiche penombre sono i poveri strumenti della vita quotidiana: il bacile, una credenza (si vedano opere precedenti come Oggetti della casa, Le scarpe, Le posate, Il bricco, dipinte nel 1975). Una fortissima, contenuta tensione drammatica emerge nella rappresentazione della Morte del padre: il momento piu’ alto del ciclo, un'opera di grande suggestione figurativa. La cifra liturgica della rappresentazione viene sottolineata dall'espressivita fortemente iconica del profilo della vecchia madre: il capo chino, 1'intenso chiaroscuro dell'occhio, le palpebre chiuse, la linea della bocca ridotta a un lungo taglio doloroso, pur nell'estrema compostezza dell'espressione. La porta illuminata fa da quinta al volto della vecchia. Il motivo iconografico della porta che si apre nelle pareti di fondo o laterali della stanza, con una persona rappresentata nell'atto di entrare, ricorre piu’ volte in questo ciclo e con una precisa funzione: l'apertura della porta crea un movimento di luce che si rinfrange sulla figura, e un elemento dinamico e drammaturgico. Di grande intensita espressiva e anche il volto (che puo ricordare il primo Picasso) della bambina in primo piano, chiusa nel celeste molto ombrato dell'abito, i grandi occhi fissi nel vuoto. Le tre figure che compongono la scena — la figlia, la sposa, la madre — appaiono assorte in una silenziosa meditatio mortis.

La dignita dell'antico mondo contadino viene contrapposta alia nevrosi del mondo borghese, della civilta dei consumi. L'evocazione di un mondo lontano viene cosi ad acquistare, nel succedersi delle immagini, una forte scansione narrativa. Caratteristica fondamentale della pittura di Sughi e’ proprio questa funzione descrittiva e narrativa degli elementi figurativi. Non solo la tematica, ma la costruzione stessa dell'opera, la disposizione e la successione dei singoli quadri che compongono il ciclo corrispondono ad una sintassi vistosamente narrativa. Nella Fami glia Sughi ha raccontato la storia della famiglia, il suo passaggio dal modello della famiglia contadina alia moderna famiglia consumistica, borghese, gia’intaccata da conflitti e nevrosi (si vedano le scene rappresentate negli ultimi quadri, dove la figura della bambina, peraltro, e’ identica a quella rappresentata nella Morte del padre). Le stesse dimensioni dei suoi cicli La famiglia si compone, complessivamente, di venti tele e di quindici studi, La cena comprende diciotto tele e dieci studi — danno una idea eloquente della loro articolazione narrativa. Sughi e’ certamente, come ha affermato De Grada, un «narratore pittore». Va precisato pero’ che egli riesce ad essere un efficace narratore proprio perche’ e’ pienamente pittore: le sue immagini diventano narrative proprio e innanzitutto per le qualita espressive del linguaggio pittorico.

Con Tramonto romano (1984) e soprattutto con il grande telero del Teatro d'ltalia (1984) la messa in scena del mondo del potere politico e dei tipi umani che ne costituiscono l'emblematica e’ realistica rappresentazione diviene una grande pagina di storia contemporanea. Da un punto di vista figurativo le opere — due fiammeggianti e insieme funebri allegorie del potere — formano sostanzialmente un dittico: si integrano e quasi si commentano a vicenda. Sullo sfondo di un livido tramonto romano compaiono in primo piano i volti, in alcuni casi personalmente riconoscibili, dei rappresentanti del potere politico, economico, giudiziario e religioso. In Tramonto romano la tradizionale raffigurazione allegorica dell'Italia in forma di turrita matrona romana si capovolge nell'immagine della altera, scultorea cortigiana che offre la sua nudita al baciamano dei signori del potere. Nel grande scenario del Teatro d'ltalia, ripreso con inquadratura dal basso, campeggia nella parte inferiore la figura del magistrato avvolto nella grande toga rossa: la presenza coloristica centrale e dominante della composizione. Una luce spettrale proveniente dal basso, quasi riverberata dal biancore della camicia, lambisce piu’ che illuminare la parte inferiore del viso, immerso nella penombra, sortendo effetti di sinistro tonalismo (che si riflettono anche sul rosso della toga). I colori sono attraversati da una luminosita notturna che conferisce qualcosa di fosco e di livido alle figure dei personaggi: le cravatte viola risaltano sul bianco ombrato delle camicie, le bocche sono segnate da sottolineature ora violastre ora rossastre. In una delle due indossatrici l'aspetto di impersonale manichino trova una vistosa corrispondenza cromatica nel lungo abito viola, quasi un drappo funebre gettato su una spoglia non umana. Mentre la classe politica dorme sui banchi parlamentari, tra gli uomini del potere si muovono figure di contorno: un Arlecchino ballerino (una delle riprese picassiane riconoscibili nel Tramonto romano e in Teatro d'ltalia) e una ballerina. Ai margini del quadro, in alto, compare una figura di prostituta. Di fronte, al centro del quadro, sulla medesima linea orizzontale si staglia, quasi emblematicamente contrapposto, il volto di una matriarca dai grandi occhi etruschi e dalle potenti geometrie espressive: volto assai simile a quello della figura centrale del Tramonto romano, a conferma del continuum narrativo e figurativo che intercorre tra le due tele. Sullo sfondo delle rovine del Palatino si raccoglie un grande quadro di vita romana: il ritratto realisticamente simbolico di Roma, caput mundi et immundi, e di un'Italia subalterna che in quel modello di potere si e’ riflessa e realizzata. Dalla grande abbuffata all'orgia del potere, si potrebbe dire, sintetizzando con riferimenti cinematografici l'itinerario della pittura di Sughi tra La cena e il Teatro d'Italia.

La produzione piu’ recente e’ stata raccolta da Sughi in un breve ciclo, intitolato La sera o della riflessione (1985-86). In realta il ciclo si divide in due parti. Tre tele {Don na alia finestra, Guardare fuori, La luce della finestra) presentano studi di luce utilizzati come studi di psicologia individuale: la scena e’ collocata in un interno e’ costruita con la medesima angolazione di luce. Sono raffigurate tre persone sole, sedute, con lo sguardo rivolto verso una finestra attraverso la quale entra una luce caravaggesca, quasi pentecostale: gli ultimi raggi della sera illuminano i volti accentuandone l'espressione silenziosamente meditativa. Le altre tele {La sera, Tramonto sul mare, Balcone sul mare) presentano tre figure di uomini sullo sfondo di paesaggi fortemente simbolici. In Tramonto sul mare e in Balcone sul mare la figura maschile, appoggiata ad una ringhiera metallica, e ripresa di schiena, volta le spalle all'interno della casa per dirigere lo sguardo verso lontananze fisiche e metafisiche: l'orizzonte del mare l'ultima luce, anzi gli ultimi riverbed rossastri del tramonto. L'atteggiamento dell'uomo e’ fortemente meditativo, estraniato dalla realta esterna, come nell'atto di interrogarsi sul proprio destino. La corrispondenza interrogativa — leopardiana, si vorrebbe dire — tra individuo e cosmo trova un preciso riscontro iconografico e prospettico: la testa dell'uomo e il disco, gia’semioscurato, del sole al tramonto sono collocati nella medesima traiettoria, orizzontale, poco sopra la linea del mare. La corrispondenza geometrica stabilisce un'evidente specularita simbolica. Quest'ultima produzione sembra aprire una nuova fase nell'itinerario della pittura di Sughi: lo studio della solitudine individuale — tema costante e centrale di questo itinerario — diviene assorta meditazione sui grandi interrogativi esistenziali. Dopo aver fermato a lungo sulla tela le immagini impietose dell'alienazione, l'anonimato dell'ambiente urbano (i bar, i cinema, il consumismo), ora Sughi tende a collocare la rappresentazione in uno spaziotempo simbolico. Se prima aveva fissato ossessivamente la realta presente e vicina, ora la sua prospettiva si allontana verso uno spazio ed una temporalita quasi metafisici. Nel fare questo Sughi non abbandona certo la sua precedente tematica figurativa (si vedano i recenti Al bar, 1985 e Al cinema, 1986): sembra pero’ volgerla verso nuove, piu’ pacate aperture meditative. Il Tramonto sul mare, cosi diverso dal Tramonto romano (che pure lo precede di soli due anni), permette di rilevare la portata di questa evoluzione in atto, ma ci permette anche di misurare la coerenza e l'originalita della ricerca condotta da Sughi nel corso del suo lungo viaggio dentro l'uomo. Una ricerca che si e’ sviluppata al di fuori di mode contingent, di utopie nostalgiche e prospettiche, legata da una lunga fedelta alia sua motivazione originaria: l'indagine sull'uomo.

 


Guido Santato, Alberto Sughi: l’uomo e la sua ombra, in Alberto Sughi (Ed. Utopia, Roma 1987)

 

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