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ALBERTO SUGHI, Il Teatro d'Italia

intervista di Biagio Dradi Maraldi

 

 

 

(La Rocca Malatestiana, Cesena, dove Alberto Sughi tenne il suo studio negli anni Sessanta e Settanta)

Biagio Dradi Maraldi: Una frase corrente, tanto da apparire banale, dice che l'opera di un artista è lo specchio nel quale si riflette la storia stessa della sua vita. È un'identificazione che, espressa in questi termini, può sembrare fin troppo rigida. Vorrei che dicessi in che misura ti senti in accordo con un'affermazione di questo tipo. In altri termini, vorrei che dicessi se la storia della tua pittura la senti anche come storia della tua vita interiore: delle tue passioni e dei tuoi ideali, delle tue angosce e delle tue tensioni, della tua solitudine e del tuo pessimismo...

Alberto Sughi: Sottolineare un nesso molto stretto tra vita e pittura parrebbe dare una patente di autenticità al lavoro dell'artista; ma oltreché riduttiva, finirebbe per essere anche una risposta presuntuosa.

Arrivare fino al profondo del nostro essere è una ricerca troppo difficile; spesso soffriamo proprio perché non riusciamo a conoscerci profondamente. E allora, se non mi conosco abbastanza, come posso dire che i miei quadri mi somigliano, che sono addirit­tura lo specchio della mia vita?.

Sì, è vero, alle volte ho cercato attraverso la pittura di saperne di più delle mie ansietà e delle mie paure. Ma i miei quadri li sento come se fossero un'altra cosa: più den­tro la "loro" storia, che forse non é sempre, indissolubilmente, la storia della mia vita.

Un giorno, appesi alla parete, nei miei quadri si poserà lo sguardo di altre persone. Attraverso la loro sensibilità e la loro cultura, tradurranno in pensiero l'immagine che l'artista ha racchiuso dentro la forma; allora, forse, quei quadri diventeranno lo "specchio" di chi li sa guardare. Ma "specchio" è una parola senza scampo, e non mi piace.

Uno dei caratteri costanti della tua pittura è stato individuato in una visione pessimistica del mondo e della storia degli uomini, ritratti quasi sempre in una situazione d'angoscia esi­stenziale, di solitudine e di incomunicabilità, avvolti in un'atmosfera tragica, che sembra dare la misura del tuo rapporto con la realtà e con gli uomini. Ti identifichi sempre con questa interpretazione del tuo lavoro e della tua vita di artista?

Il sentimento della tristezza e della solitudine che traspare attraverso un'opera d'arte non é necessariamente la tristezza e la solitudine dell'autore. Se dipingere non signi­fica solo "sentire", ma soprattutto "conoscere", un eccessivo coinvolgimento emotivo finirebbe per togliere lucidità all'artista.

Non ho mai preteso, d'altra parte, di attirare l'attenzione sul mio rapporto con la realtà; ho cercato, semmai, di conoscere meglio le contraddizioni che l'uomo ha trascinato, con sé, fino a oggi, cioè fino al massimo della sua modernità. Ad esempio: mi sono più volte sorpreso a rilevare quanto sia difficile, addirittura penoso, stabilire dei rapporti fortemente comunicativi all'interno di una società che ha fatto proprio della comunicazione l'aspetto più quotidiano della sua vita.

Che cosa é un pittore e qual é il rapporto che si instaura fra lui e il quadro che dipinge. Specificando, vorrei che mi parlassi del tuo rapporto con la tua opera e più in generale del fare pittura e del mestiere di pittore.

Diciamo che il pittore ha una sua idea non solo dello spazio e della luce, ma anche dell'amore e della paura... Dipingendo, in ogni caso, si accinge ad un'opera di traduzione: ciò che era riflessione, concetto, moto dell'animo deve diventare soltanto un oggetto di ordine estetico, quanto esisteva a livello di pensiero, di sentimento e di intuizione si solidifica all'interno della forma. Questo fa il pittore.

Forse, a dire il vero, non si dovrebbe nemmeno parlare di traduzione, come se ciò che il pittore dipinge fosse già preesistente in un'altra struttura linguistica. La pittura non è altro che un modo, autonomo, di confrontarsi con la realtà. Che poi Parte, qualunque forma essa prenda, alluda sempre a qualcos'altro è vero; ma l'oggetto su cui si esercita, e il modo in cui vi si esprime, esime il pittore dal doverne tenere conto. Ciò che accade nell'arte è, in fin dei conti, l'arte stessa...

Come nasce un'idea di un quadro e qual è il percorso della mente nell'elaborazione di esso?

Un quadro nasce da tutti quelli che hai dipinto in precedenza, da tutto quello che hai imparato dipingendo; ma soprattutto nasce dal desiderio di mettersi in viaggio, di trovare quello che sempre ti è sfuggito... Se penso a un quadro, Itaca non è l'isola: è il viaggio, è la sua sistemazione concettuale dentro un evento artistico.

In anni ormai lontani molto si è discusso in Italia sul rapporto arte e ideologìa... Con quale sentimento rivivi nella memoria quel perìodo?

Alcune vicende, nel tempo, possono averci amareggiato, altre essere state motivo di soddisfazione; passati gli anni molto si decanta e solo la qualità del lavoro rimane un termine, alle volte confortante, di riferimento. Per questo do scarso peso alle dichiarazioni di impegno o disimpegno ideologico, che pure determinano una gran parte dell'atteggiamento critico verso il nostro lavoro. Non so se oggi la critica sia più o meno corretta. Credo di sapere che domani conterà meno di quanto sembri contare oggi: perché del pari conterà meno tanta pittura cui oggi concede i suoi favori.

Quanto alla solitudine, è una condizione alla quale l'artista, in genere, è votato; e non deve esserci nulla che possa fargli dimenticare l'antico voto. Non può dunque essere vissuta con dispetto, né diventare motivo di frustrazione.

È stata più volte indicata una tua parentela artistica con Bacon. Penso che non abbia difficoltà a precisare {in maniera verìdica e definitiva) la natura del rapporto se per un certo periodo c' è stato tra la tua pittura e quella dell'artista inglese.

Credo di non aver quasi niente da aggiungere a quanto si è scritto dei rapporti tra la pittura di Francis Bacon e la mia. Non esiste saggio critico che mi riguardi nel quale non si dia qualche spazio a questo argomento; e ciò ha sempre più legittimato l'accostamento fra il mio lavoro e quello del grande artista inglese.

Si può forse supporre che l'eccessiva insistenza abbia finito per diventare un luogo comune, indebolendo la stessa originalità critica di qualche recensore. Talvolta, ad esempio, per cercare le ragioni di questo confronto si è dovuto alterare il carattere stesso dell'arte di Francis Bacon, il quale è soprattutto un grande e tragico pittore realista, oscillante fra incubo e spasimo.

Quando viene preso a riferimento della mia ricerca, Bacon stesso viene rappresenta­to come un artista che dipinge la solitudine, il vuoto, il malessere esistenziale.

In realtà, il palcoscenico dove recita l'immaginazione di Bacon è un altro: in uno scenario da incubo si agitano tra cessi e divani uomini sfigurati da un espressionismo feroce, che testimonia non tanto una solitudine, quanto una terribile emarginazione.

Se spettasse a me indicare la differenza che mi separa da Bacon direi che lui parla di separatezza, di emarginazione, che la sua pittura è tragicamente bella, con una gran­de intenzione realistica. Aggiungerei che io sono più sfumato, che parlo di un uomo sofferente della propria realtà, del mondo in cui è immerso.

Quanto credi che nell'opera d'arte sia da attribuire all'intelligenza e al mestiere e quanto al talento e alla cosidetta "ispirazione"?

Spesso si ha occasione di ascoltare o di leggere che elemento determinante per dare vita all'opera d'arte è l'ispirazione. Non uso mai, o quasi mai, questa parola perché mi sembra la scorciatoia di un percorso che porta non si sa bene dove.

Sicuramente è difficile analizzare e distinguere gli elementi in base ai quali attribuiamo a un'opera il carattere di "arte" e a un'altra, che al capolavoro somiglia moltissimo, non diamo importanza alcuna. Eppure, anche in una copia ben fatta spesso sono visibili i segni del mestiere, dell'intelligenza e magari del talento.

Se poi vogliamo domandarci perché un'opera considerata un capolavoro appare all'improvviso insignificante allorché la si scopre apocrifa, dobbiamo capire che ogni possibile risposta non può riguardare la natura, in sé, dell'opera d'arte, ma piuttosto la natura del nostro rapporto con l'opera d'arte. Mi sembra che la condizione primaria per il ma­nifestarsi dell'arte sia la capacità di evocarla, immaginarla, riconoscerla.

C'è un riferimento quasi costante nella tua pittura al presente\ e c'è la tendenza, direi la volontà, a rappresentare l'uomo contemporaneo nella sua condizione esistenziale. Tu non nascondi lo sconforto nei confronti dell'uomo. È pessimismo riferito all'uomo come indivi­duo o è sentimento che coinvolge tutta la società?

E' una domanda che non mi farò mai; e tuttavia me la sento spesso rivolgere.

Con la pittura cerco di rappresentare le cose che mi interessano. Negli anni '60, ad esempio, ho dipinto scene di vita notturna. Dipingendole non ho mai raffreddato il colore, o esasperato il disegno, per dare voce a un mio atteggiamento verso la realtà (fosse esso morale, psicologico o filosofico) attraverso i temi scelti. Intendevo solo dipingere in maniera appropriata per raggiungere il maggior grado di verità possibile. Rispetto, beninteso, al mio sguardo.

È possibile, poi, che attraverso quello sguardo si possano cogliere aspetti e contorni della realtà che prima non riuscivo a distinguere nitidamente. Caduto il velo, ci si può trovare davanti a una realtà meno confortante di quanto amassimo credere e sperare.

Risulta chiaro, così, anche quello che dicesti una volta "che l'arte e la politica pretendo­no tempi di riflessione molto sfalsati e mandano messaggi diversi": per te "la politica" resta in un àmbito suo particolare e l'arte si realizza in forma autonoma e in piena libertà intellettuale e ideologica.

Spesso, dipingendo, mi sono allontanato da alcune convinzioni acquisite attraverso un giudizio, o un consenso, politici.

Quando si dipinge, esigenze, persuasioni e abbandoni culturali contano meno di quanto non si creda; e ciò vale ancora di più, ovviamente, per l'ideologia.

Fare pittura è anche un modo per verificare la validità dei propri pensieri: quante opinioni che ci apparivano ben salde e importanti finiscono per rivelarsi deboli, se non inutili. La pittura è una espressione che non può dare voce a ciò che le è estraneo...

La più alta libertà possibile che l'artista può raggiungere dipende dalla coscienza e dal dominio dei problemi che l'arte stessa gli pone. La libertà dell'artista non è la libertà che egli si prende rispetto al mondo esterno. È semmai l'impegno a liberarsi dei propri pregiudizi, per seguire un libero cammino di conoscenza.

Vorrei porti ancora una domanda per una risposta riepilogativa: sono distinguibili, nella tua pittura, momenti, periodi diversi per stile e per esecuzione, differenziati nell' ormai lungo cammino della tua vita d'artista? La risposta si può ricavare da quanto hai affermato fin qui] ma la domanda viene fatta a beneficio del lettore, che ci ha eventualmente seguiti fino a questa fase terminale del nostro discorso.

Sì, come succede a tutti, ho fatto diverse esperienze. Se è facile riconoscere nella condizione socio-culturale dell'uomo il carattere più costante del mio lavoro, a chi volesse sfogliare le pagine del mio percorso di pittore non sfuggirebbero gli aspetti di una ricerca che testimonia di una curiosità spintasi in direzioni differenti.

Ci sono, ad esempio, periodi che sembrano indicare un'attenzione verso un'area, se non proprio surreale, fantastica; mi riferisco al ciclo delle Isole, delle Ville sull'Adriatico, fino al ciclo degli Oggetti della casa, che nel loro apparente naturalismo hanno una presenza strana, quasi metafisica. Altre volte ha preso consistenza uno sguardo più ana­litico: penso ad alcuni quadri del "periodo verde", ai cespugli dove le foglie esistono ciascuna di per sé, una ad una, come se si volesse risalire dal contorno delle cose al loro significato profondo.

Ultimamente ho dipinto una serie di quadri in cui il tema della sera, della riflessio­ne, il tema degli anni che passano e dei segni che lasciano, diventa una specie di diario.

Un diario singolare, in cui adopero tele di grande formato per prendere solo qualche appunto.

Non si va da una parte, e poi dall'altra, con l'intenzione di allontanarsi dalle proprie scelte: ci sono sentieri che incrociano la nostra strada e non possiamo non metterci il piede.

Non ho mai creduto, del resto, che si possa trovare qualcosa da cui non ci si debba più discostare. Più i convincimenti sembrano assumere un carattere assoluto, più mi viene la tentazione di metterli in gioco.

Seguire qualche volta il vento della curiosità mi pare una cosa saggia, non foss'altro perché necessaria.

Estratto da:

B. Bradi Maraldi - Teatro d'Italia - edizioni Cassa di Risparmio - Cesena 1991

(ripubblicato in Omaggio a Alberto Sughi, Gruppo Gualdo 1995)

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