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Alberto Sughi Al Complesso del Vittoriano, 21 Luglio - 23 Settembre 2007

 

(19 luglio, 2007) Corriere della Sera

Arturo Carlo Quintavalle, Nei quadri di Alberto Sughi l' assurdo e il nulla del mondo

Potrebbe sembrare strano che un pittore di 79 anni sia ospitato negli spazi del Vittoriano subito dopo la mostra di Marc Chagall e prima della mostra di Paul Gauguin, e potrebbe apparire strano che per la prima volta in quella sede si faccia una rassegna a un pittore vivente, come sottolinea in catalogo Alessandro Nicosia. * * * L' assurdo e il nulla: il mondo di SUGHI Inutile cercare eventi nei suoi quadri dove emerge la dimensione oniricaSEGUE DALLA PRIMA Ottanta Tele e Disegni Esposti al Vittoriano Perché? Certo, la qualità, certo la novità di invenzione, certo la ricerca che dura, sempre rinnovata, da quasi sessanta anni, ma forse le ragioni sono altre, diverse, e riguardano il grande tema del realismo, e il dibattito su questo nel dopoguerra. Penso alla crisi nella sinistra con, da una parte, Palmiro Togliatti che nel 1948 respinge quella che lui chiama arte borghese, la astrazione ma anche il cubismo sintetico picassiano, Picasso che nel frattempo era diventato comunista. Da una parte allora restano i pittori realisti, Guttuso con le sue grandi civili invenzioni neoespressioniste, e poi Pizzinato, Migneco; dall' altra Morlotti, Birolli, Vedova e altri ancora, la «generazione di mezzo» che nella Biennale del 1952 viene presentata da Lionello Venturi e che apre una diversa storia dell' arte italiana. Ma tutto questo come si lega a Sughi? Lui viene a Roma e ci sta a lungo agli inizi degli anni ' 50, ospite di Renato Guttuso che lo aiuta anche comprandogli disegni: allora dipinge alcuni quadri di stampo postcubista ma presto si stacca da quelle scelte. Certo è che subito dopo Sughi non sceglie la strada del realismo, come tanti altri giovani legati alla sinistra, ma una via diversa, chiara ormai nel 1958 quando due quadri, un interno di cinema e un grande dipinto con una veduta di città, propongono una rivoluzione. Sughi lascia ogni forma di espressionismo alla Beckmann, alla Grosz o alla Otto Dix, e inventa un racconto nuovo dove domina l' ombra da cui escono personaggi dai volti non ben definiti, in uno spazio senza misura, fuori del tempo, senza eventi. Nel primo dipinto, l' interno di un cinema, la maschera segna il fondo con una tenue luce: dominano la scena le poltrone vuote. Nell' altro quadro, una grande immagine orizzontale di città, trovi in primo piano come delle apparizioni, una cantante e altre figure sfatte come nei quadri dell' Informale; dietro una città quasi astratta, case alte, forse grattacieli. Così ecco la civiltà del consumo che trasforma il senso e il racconto delle figure qui tutte sospese come nel vuoto, senza rapporti. Sughi adesso ha inventato una strada diversa da tutti, una strada che non nasce dalla letteratura del realismo e neppure dal maggior filosofo di questo, l' ungherese Luckacs, e neppure da Bertold Brecht, ma semmai dalla adesione all' Esistenzialismo francese, alla filosofia di Jean Paul Sartre, quello de «L' essere e il nulla», quello he suggerisce anzi dimostra la impossibilità di conoscere il mondo. Adesso Sughi scopre anche il racconto, quello dello stesso Sartre, e poi il teatro, da una parte Jonesco, quello de «Il rinoceronte», dall' altra il Beckett di «Aspettando Godot»: il mondo deghli animali mostruosi nei quali tutti gli abitanti di un paese si trasformano e l' attesa di un arrivo che diventa impossibile. È inutile quindi cercare eventi nei dipinti di Sughi dagli anni ' 60 e ' 70 in poi: lui dipinge appunto l' attesa, propone un non-spazio, evoca il nulla del mondo. Sughi legge Sartre e Eliot, Beckett e Jonesco quando questi erano messi ai margini della riflessione della sinistra. Ancora: Sughi non si comprende senza il film: non certo quello realista che pure ben conosce; le sue propensioni sono per la dimensione onirica di Michelangelo Antonioni oppure per le scansioni surreali di Federico Fellini. Sughi, negli anni ' 60 e dopo, è il solo pittore che getti un ponte tra pittura e film e che lo faccia utilizzando un racconto complesso: Sughi infatti dipinge per cicli, che però sempre suggeriscono un non-racconto. Così il pittore rappresenta il rapporto fra uomo e cane; oppure lo spazio del bosco e della campagna densi come in un Böcklin o in un Magritte; oppure l' orrore di una cena dove i gesti delle figure sono sospesi nel vuoto perché Sughi ha cancellato molte figure e diversi oggetti rendendo rappresentazione e gesti assurdi; oppure un tribunale dove si propone la natura violenta, ferina dei giudici. Le tre ultime opere in mostra sono dei quadri-disegni, fatti sul rovescio della tela: una Crocefissione, due massacri vibranti di una densa passione civile, vibranti denunce. Un ciclo forse più di altri chiarisce la impegnata amarezza di Sughi, quello che si intitola «Andare dove» e che mostra una figura con due valigie che esce da una «casa rossa»: forse il Partito Comunista dopo la caduta del muro di Berlino, comunque la crisi di una ideologia di una generazione intera. Quelli di Sughi dunque sono grandi quadri, quadri nuovi al centro di un percorso che apparenta Sughi ai grandi protagonisti della pittura europea da Degas a Bacon, da Picasso a Magritte. Ecco perché credo che la mostra che si apre sabato al Vittoriano lascerà il segno nel dibattito dell' arte, nel nostro paese e fuori.

Arturo Carlo Quintavalle

 

 

 

 

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